Al Teatro Goldoni di Livorno Le Maschere di Mascagni in una nuova produzione firmata da Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi
LIVORNO, 10 febbraio 2023 – Il pubblico del Teatro Goldoni, a Livorno, è quasi tutto in maschera: una consuetudine un tempo diffusa durante il periodo di carnevale e recuperata solo in tempi recenti a Venezia. Non sarà forse un caso che fra i quartieri di Livorno ce ne sia uno denominato, per il suo sistema di canali, proprio “Venezia Nuova”. A sancire, poi, un legame a distanza fra le due località marittime c’è anche il principale teatro cittadino, con il suo particolarissimo soffitto a vetrate intitolato, appunto, al commediografo nato sulla laguna.
Una cornice ideale, dunque, per l’opera in programma: Le Maschere, ‘commedia lirica e giocosa in una parabasi e tre atti’ concepita, nel 1901, dal livornese Pietro Mascagni come omaggio alla commedia dell’arte e alla gloriosa tradizione dell’opera buffa italiana settecentesca, addirittura ricorrendo all’antica articolazione in numeri chiusi. I nove personaggi rispondono ai nomi di Colombina, Brighella, Arlecchino, Pantalone e così via: maschere che offrono a Luigi Illica – spesso librettista anche per Puccini, Catalani, Giordano – l’occasione di creare non tanto situazioni comiche, quanto raffinate reminiscenze operistiche o colte citazioni letterarie.
La vicenda, destinata immancabilmente a risolversi con il lieto fine, appare infatti abbastanza esile e neanche troppo divertente, incentrata com’è sulla solita coppia d’innamorati, con il padre di lei che l’ha promessa a un altro, né la musica riesce a imprimere ai personaggi un carattere archetipico, limitandosi a creare atmosfere piacevoli ma sempre un po’ generiche. Tuttavia, la nuova produzione del duo palermitano Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi – autori di regia, scene e costumi – riesce senza forzature a trovare un’efficace chiave di lettura, puntando sul carattere corale della messinscena e riuscendo, così, a valorizzare quella componente di affettuosa popolarità di cui gode Mascagni nella sua città.
S’immagina che tutto nasca da un’interruzione effettuata dalle maestranze teatrali – i coristi distribuiti nei palchi, che improvvisamente scendono in platea – durante un’esecuzione di Cavalleria rusticana, rivendicando il «colpo di teatro». Anche le citazioni operistiche, presenti almeno a livello d’intenzioni in Illica e Mascagni, vengono sottolineate in vari modi: uno dei più espliciti è il lancio dall’ultimo ordine di palchi di foglietti con l’effigie dei vari personaggi, quasi come succedeva con le opere risorgimentali di Verdi (quei volantinaggi immortalati sullo schermo da Visconti in Senso). L’allestimento scenico evoca un hangar dove vengono costruiti i celebri carri di Viareggio – località a pochi chilometri da Livorno che quest’anno festeggia il centocinquantenario – e alla fine culminerà nella realizzazione di una maschera dalle dimensioni gigantesche. L’accurato lavoro registico viene poi testimoniato dalle capacità recitative di tutti i solisti, anche durante gli interventi parlati: qualità per niente scontate nei cantanti.
Oltre a essersi rivelato un cast di ottimi attori, molti interpreti hanno sfoggiato notevoli doti. A cominciare dalla coppia di giovani innamorati: il tenore Matteo Falcier, che ha interpretato un Florindo dalla solida linea vocale, e una sicura Silvia Pantani come Rosaura. A rubarle la scena, però, è stata spesso l’altro soprano, Rachele Barchi, nei panni della sua domestica Colombina: non la classica soubrette, ma una più carnale figura, di voce ben sonora. I suoi due pretendenti, entrambi tenori, erano Marco Miglietta, un Brighella assai convincente, e un più esile – sul piano vocale – Didier Pieri nel costume di Arlecchino. Anche il versante baritonale ha ben figurato: Giacomo Medici è riuscito a imprimere al suo Dottore i divertenti accenti bolognesi di Balanzone, mentre Massimo Cavalletti è stato uno spiritoso e balbuziente Tartaglia, nonché un tonante impresario nel ruolo solo recitato di Giocadio; ma la vera sorpresa era rappresentata dal coreano Min Kim, un Capitan Spavento dai consistenti mezzi vocali, con un’ottima padronanza della pronuncia italiana e una gestualità esilarante. Vladimir Alexandrovich, come Pantalone de’ Bisognosi, ha evidenziato un bel timbro da basso, nonostante la dizione talvolta poco nitida.
Collaudato direttore mascagnano, Mario Menicagli ha diretto con sicurezza Orchestra e Coro (preparato da Maurizio Preziosi) del Teatro Goldoni, traendone sonorità scorrevoli e morbide, che privilegiavano soprattutto l’andamento melodico e i riferimenti al verismo, meno attento invece a sottolineare gli aspetti comici. Fondamentale il contributo dei bambini che, in numero superiore al centinaio, non solo affollavano la platea, ma a fine spettacolo hanno cantato in coro La furlana, una delle due danze scritte da Mascagni per quest’opera, mentre buona parte del pubblico si univa a loro. E, quando vengono coinvolti bambini tanto piccoli – tutti allievi della scuola primaria – e riescono ad affrontare così seriamente un impegno, il merito è in gran parte degli insegnanti. Peccato però che questa produzione sia destinata a nascere e morire in due sole recite.
Giulia Vannoni