In vista della prossima ricorrenza dell’8 marzo, in cui si festeggia la giornata della donna, molto probabilmente aumenterà la pubblicazione di articoli e commenti sulle discriminazioni di genere. Che ancora resistono in diverse gradazioni. Anche in sede locale. Ma quello che leggeremo sarà, nella maggioranza dei casi, la fotografia del momento finale. Cioè quando e dove questa discriminazione si materializzerà: paghe più basse, minori opportunità di carriera, difficoltà di conciliare figli e lavoro, finti licenziamenti volontari, ecc…
Così come in una corsa non è sufficiente scattare la foto all’arrivo, dove al massimo si misurano le distanze, per avere una idea di come si è svolta tutta la gara, lo stesso vale per le disuguaglianze di genere. Perché le disuguaglianze uomo-donna hanno un’origine molto più profonda, che rimanda agli stereotipi e alla cultura dei ruoli di genere. Che sono molto antichi, perciò radicati e più difficile da estirpare. Una mano per scoprirli, comprese alcune ricette per risolverli, ce la da un recente studio (in inglese) della Banca d’Italia intitolato “Women, Labour markets and Economic growth” (Donne, Mercato del lavoro e Sviluppo economico), del giugno 2023.
La prima osservazione riguarda la scuola, dove avviene la formazione che prepara le persone al futuro lavorativo. Scrive lo studio: “Quasi sempre, le donne tendono a scegliere percorsi di studio in campi meno remunerativi e con minori prospettive di carriera lavorativa. Questo avviene sia nelle secondarie che all’Università”. I migliori voti che poi le ragazze quasi sempre ottengono, rispetto ai ragazzi, non compensa questa scelta originaria. Le donne rappresentano tra il 70 e il 90% dei laureati in educazione, lingue, psicologia e scienze sociali, ma solo il 40% dei laureati nella aree così dette STEM, ovvero scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Più in specifico sono donne il 27% dei laureati in ingegneria e ICT, e il 46% dei laureati in matematica, chimica e fisica. Numeri che sono gli stessi da almeno un decennio. Scelte cui pare avere una certa influenza anche la maggiore propensione delle donne per l’area sociale, mentre gli uomini si mostrano più orientati alla realizzazione di oggetti fisici/ materiali (macchine, motori, ecc…).
Poi sappiamo che non tutte le Università godono dello stesso prestigio ed offrono, di conseguenza, le medesime opportunità di lavoro. Ed arriviamo ad un ulteriore scoglio: le donne tendono ad iscriversi nelle Università di minore qualità, perché sono meno propense a studiare fuori regione, lontano da casa. Fenomeno rilevato soprattutto al Sud. Queste che superficialmente sembrano essere delle scelte libere, perché nessuno obbliga una ragazza a non iscriversi ad ingegneria o studiare fuori regione, di fatto sono il risultato di parecchi pregiudizi socio-culturali, dispensati, assorbiti e interiorizzati in famiglia come nella società. L’esito risultante è che a 5 anni dalla laurea, mentre un laureato in Ingegneria meccanica guadagna più di 20.000 euro, nel turismo, un settore a forte presenza femminile, il salario si ferma intono a 13.000 euro. 7.000 in meno.
Tra le misure per riequilibrare le opportunità di partenza si suggerisce di introdurre, in particolare nella scuola primaria e secondaria, più materie STEM nei curricula di studio, meglio se ad insegnarle sono donne, per eliminare l’antico pregiudizio che il tecnico-scientifico non si abbina al genere femminile. Non basta per arrivare ad una piena parità di genere sul lavoro, ma ristabilire un equilibrio di partenza è il primo passo per saltare le barriere successive. Senza dimenticare che la riduzione del gender gap è uno degli obiettivi posti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Che tanti hanno detto di condividere.