Che futuro attende le province italiane? Bocciata con il referendum la riforma che voleva eliminarle definitivamente dalla Costituzione, si ritrovano in mezzo al guado perché la legge 56 del 2014 ne aveva già profondamente modificato l’identità e le funzioni, in vista di quella eliminazione che poi non ha avuto luogo. Qualche osservatore comincia ad avanzare dubbi sulla tenuta giuridica del provvedimento in questione, perché le province, anziché scomparire, sono rimaste a pieno titolo nel novero degli enti costitutivi della Repubblica. Ma ora, insieme alla confusione istituzionale, il problema più urgente è quello dei finanziamenti, perché nel frattempo i tagli alle province sono stati drastici e si sono create lacune in materie fondamentali, come l’edilizia scolastica, la tutela dell’ambiente e la manutenzione delle strade. In questo contesto suona persino un po’ surreale, per quanto doverosa, l’elezione dei nuovi vertici delle province (presidente e consigli) che si è completata lo scorso 29 gennaio. Quale che sia il giudizio di merito sulla legge Del Rio, va pur detto che il provvedimento è nato con una certa logica e con una sua coerenza di fondo. L’idea di base era quella di individuare innanzitutto le competenze fondamentali che sarebbero rimaste alle province. Le altre funzioni (con il personale e le risorse finanziarie relativi) sarebbero state redistribuite tra altri enti, nell’ambito di un piano organico elaborato da ciascuna regione, con un ruolo importante da affidare alle unioni tra comuni. Un progetto complesso e che soprattutto implicava un intervento dello Stato per fissare i “ profili ordinamentali generali” del sistema, in seguito alla programmata eliminazione delle province dalla Costituzione. Eliminazione che però non c’è stata. Peraltro il meccanismo della legge Del Rio si era inceppato ben prima del referendum costituzionale e prima ancora che la stessa legge potesse dispiegare tutti i suoi effetti. “ Il disegno – ha spiegato Mario Castelvecchio, docente all’università di Bologna, uno dei maggiori esperti del settore – non ha funzionato per il ritardo delle regioni nell’intervenire con leggi regionali che operassero il trasferimento di funzioni, ma soprattutto per la stretta finanziaria che è stata data con la legge di stabilità 2015 e con i provvedimenti relativi a tagli e ricollocazione del personale”. In altre parole, la scure si è abbattuta sulle risorse e sulle spese non al termine del riordino e come sua conseguenza, ma nel bel mezzo del processo. Si è generato così il paradosso che le province hanno continuato a esercitare in molti casi le stesse funzioni di prima, ma con meno risorse umane e finanziarie.
di Stefano De Martis