“Davvero il concordato esenta la Chiesa dall’IMU? Ma allora sono proprio un idiota ad averlo pagato tutti questi anni come parrocchia!”.
Basterebbe questa battuta per chiudere la discussione, invece, tutti gli anni, sistematicamente, c’è qualcuno che, quando finisce gli argomenti, tira fuori la storia che la Chiesa non paga le tasse. Se poi è un influencer la febbre la prendono in tanti, almeno fra coloro che affidano i neuroni, che il buon Creatore ci ha dato, agli illuminati dai media. Purtroppo la cosa non è banale e così ti trovi in parrocchia, e anche fra gli amici, a dover spiegare che la storia del Vaticano che ha evaso 5 miliardi (sic! chi offre di più?) di Imu allo Stato italiano è una storia che non sta in piedi, soprattutto perché chi fa queste boutade non offre nessun dato che permetta almeno di vericare l’attendibilità dell’affermazione.
Da chi denunzia la immensa somma che il Vaticano avrebbe evaso bisognerebbe farsi dire in base a quale legge, su quali immobili e in riferimento a quale periodo è stato quanticato questo debito.
Del resto siamo abituati su internet e anche sui giornali a sentire i numeri più disparati circa le proprietà della Chiesa.
C’è, addirittura, chi afferma che in Italia un immobile su quattro apparterrebbe al Vaticano o a enti religiosi.
E con quali esiti poi?
Basterebbe chiederlo anche a don Danilo Manduchi, l’economo, che da qualche anno cerca di rimettere in sesto il debito della Diocesi e che lamenta che la maggior parte degli immobili sono chiese e vecchie canoniche, che non rendono nulla e per le quali bisogna, invece, sostenere elevati costi di manutenzione.
Del resto che la Chiesa non paghi le tasse sugli immobili è una bufala. Perché non è così e non lo è mai stato. Non c’è legge italiana che permetta alla Chiesa di non pagare le tasse. Contemporaneamente va ribadito che sugli immobili dati in affitto – quelli cioè che rendono davvero – da sempre le imposte vengono pagate senza sconti o riduzioni, anzi con controlli serrati.
In passato, le polemiche furono alimentate perché l’Ici (imposta comunale sugli immobili), come del resto oggi l’IMU, prevedeva l’esenzione per gli immobili degli enti senza scopo di lucro, integralmente utilizzati per nalità socialmente rilevanti (per esempio, scuole, case per anziani, mense per i poveri o centri culturali).
A tale proposito, è bene chiarire che questo tipo di esenzione non riguarda solo gli enti appartenenti alla Chiesa cattolica.
Di questa esenzione hanno sempre beneficiato e beneficiano tutte le altre Confessioni religiose, tutti i partiti, tutti i sindacati e tutte le realtà con scopi sociali che realizzano le condizioni previste dalla legge.
Il ragionamento che giustifica l’esenzione era ed è semplice: i comuni rinunciano all’imposta, perché il vantaggio che la comunità riceve da tali attività è di gran lunga superiore (si pensi alle opere caritative o sociali ed educative).
Contrariamente a quanto molti hanno scritto e si continua a scrivere, l’esenzione non si è mai applicata alle attività alberghiere, anche se gestite direttamente da istituti religiosi e naturalmente a tutte quelle realtà che vengono concesse in atto.
Abbiamo chiesto all’Economato i dati sulle tasse pagate dalla Chiesa riminese nell’ultimo anno. Saranno disponibili per il prossimo numero. È necessario infatti raccogliere i dati, perché ogni parrocchia è un ente autonomo.
Intanto però è stato reso pubblico quanto è stato pagato di tasse nel 2019 dall’Amministrazione del patrimonio della Santa Sede (l’APSA), l’ente vaticano che gestisce gli immobili intestati direttamente alla Santa Sede: 5.750.000 euro di Imu e 354.000 euro di Tasi, versati per oltre il 90% al Comune di Roma, dove gli immobili si trovano.
Se aggiungiamo 3.200.000 euro di Ires, arriviamo a un totale di oltre 9.300.000 euro, cui andrebbe aggiunto quanto pagano, sempre a Roma, la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (Propaganda Fide), il Vicariato di Roma, la Cei, gli Ordini e le Congregazioni religiose. Alla faccia degli evasori e degli influencer.