Dopo oltre quattro anni di guerra civile in Siria, nessuno sa esattamente quante siano le vittime. Partendo dall’ultimo dato Onu risalente comunque a molto tempo fa (250mila morti), Staffan De Mistura – che sta cercando di salvare i negoziati di Pace fra il regime di Assad e le forze ribelli – ha azzardato la cifra di 400mila vittime, accreditando una stima fatta circolare a febbraio da ambienti vicini all’opposizione siriana. Stiamo parlando di quattro volte le vittime causate dalla guerra di Bosnia. Certe sono invece le cifre dei rifugiati siriani, 4.800.000, di cui circa un milione ha chiesto asilo in Europa. Anche in questo caso, si tratta di cifre quattro volte superiori rispetto a quelle del conflitto bosniaco, eppure l’interesse per la conclusione della guerra è molto minore di quanto lo fosse venti anni fa.
Anche allora l’Europa si era dimostrata incapace di prendere la situazione in mano e di far cessare gli scontri in cui venivano commessi atroci crimini contro l’umanità, ma l’opinione pubblica era più attenta e mobilitata. Si parlava di intervento umanitario, molti chiedevano che si facesse qualcosa e gli U2 cantavano Miss Sarajevo con Luciano Pavarotti. Oggi nessuno canta la tragica sorte di Aleppo. L’Ue si conferma incapace di elaborare una visione comune in politica estera anche quando questa mancanza di visione causa, seppur indirettamente, gravi problemi ormai sotto gli occhi di tutti. Se però i governi europei restano coerenti nella loro immobilità, manca oggi un’opinione pubblica che li spinga a trovare una soluzione per il conflitto. Il mondo è cambiato, ma si fatica a comprendere tutto il cambiamento. Allora chi si mobilitava lo faceva perché nessuno si aspettava che un intervento esterno, anche armato, potesse provocare ripercussioni sul suolo europeo. Oggi esiste un architrave ideologico propagandato attraverso internet e i social network, tale per cui la mossa sbagliata in Siria si può tramutare in un attentato nella metropolitana di una città europea. Per questo è forte la tentazione di chiudersi nel proprio orticello, proponendo la costruzione di muri e palizzate.
In gioco c’è un cambiamento culturale, di testa, di atteggiamento, che mette in discussione le basi profonde della nostra fede e del nostro credo, sia come cristiani che come europei. È quello che ha ben compreso papa Francesco, ma che non sembrano capire i fedeli, che lo amano, ma non lo seguono, ormai voce che grida nel deserto, quello che sta diventando il deserto dei nostri cuori, delle nostre comunità, sempre più mute di fronte ad un egoismo, che si imbelletta di logica e di necessità.
Stefano Costalli e Giovanni Tonelli