Aleppo, una città nel nord della Siria, martoriata da cinque anni dalla guerra. Quella che era considerata la capitale economica del Paese, è oggi un luogo di dolore e paura dal quale decine di migliaia di persone cercano di scappare per trovare rifugio nei paesi limitrofi, Giordania, Libano, e per intraprendere di lì i viaggi della speranza. Qualcuno però ad Aleppo rimane. E non è solo. Ad aiutare chi decide di rimanere, senza distinzione di credo religioso, sono i francescani del Collegio di Terra Santa, recentemente colpito da un missile jihadista (21 maggio). A testimoniare come si vive oggi ad Aleppo è stato un parroco francescano della martoriata città siriana, padre Ibrahim Alsabagh, in un incontro in una sala Manzoni gremita mercoledì 15 giugno dal titolo Siria. Salvare la memoria per ricostruire il futuro. Adesso. L’incontro, organizzato dalla fondazione Avsi, che due anni fa ha lanciato la prima campagna per la Siria (www.avsi.org) e dal centro culturale Il portico del vasaio, in collaborazione con il Comitato Nazarat, ha visto anche l’intervento degli archeologici, Giorgio e Marylin Bucellati, entrambi professori emeriti presso università californiane e direttori degli scavi archeologici dell’antica città siriana di Urkesh. Le parole di padre Ibrahim, che confessa di essersi affezionato alla città riminese, sono piene di commozione, paura e speranza, la sola che insieme alla fede può aiutare i frati francescani impegnati in questa missione.
Quali sono le cause che hanno scatenato l’inferno in Siria?
“Le Siria è una terra che si trova in una posizione geografica strategica, confinando a Nord con la Turchia, a Est con l’Iraq, a Sud con Giordania, a Ovest con Israele e Libano. Non si sta combattendo una guerra civile. Ha ragione il Papa, in Siria è scoppiata una terza guerra mondiale. Le motivazioni del conflitto sono eminentemente economiche. Quelle di tipo religioso sono secondarie e indotte. Si confrontano sciiti e sunniti che fino a cinque anni fa in Siria hanno vissuto in pace, seppure nutrendo l’uno nei confronti dell’altro una certa antipatia. Oggi si uccidono gli uni con gli altri. Non si può poi non citare il grande sogno turco, di un impero ottomano rinnovato, per acquisire la leadrship del mondo islamico orientale. Ma anche altri Paesi aspirano a farsi egemoni nel mondo arabo. Arabia Suadita e Katar, entrambi paesi a prevalenza sunnita. E poi c’è l’Iran a prevalenza scita. Tutto questo ha portato a tante divisione in Siria. I Russi sostengono il governo di Assad che arriva fino a Sud con capitale Damasco. Nella parte Nord-Est del paese siriano c’è l’Isis, poi c’è anche l’influenza degli Stati Uniti e dell’Europa su altri”.
Aleppo, la “Milano della Siria” nel mezzo del conflitto.
“Aleppo è una città divisa in due, che non si sa a chi debba appartenere. Dal confine con la Turchia passano forze militari armate sino ai denti, ben addestrate logisticamente. La parte Ovest della città di Aleppo, a prevalenza cristiana, è circondata dagli jihadisti. Qui vive la comunità cristiana con tutta la sua diversità, con riti cattolici, orientali e ortodossi. Aleppo è sempre stata non solo un centro economico, una «Milano della Siria», ma anche un centro importante per tutta la cristianità. Nella città ovest ci sono comunità sunnite, sciite, laoite e curde che condividono insieme a noi la sofferenza e la vita. Prima di cinque anni fa vivevamo in pace ed anche ora continuiamo a farlo”.
Assenza di acqua, elettricità, cibo e beni di prima necessità. Le difficili condizioni di vita ad Aleppo.
“L’elettricità non arriva se non 30 minuti ogni due o tre settimane. L’acqua potabile se ne va per almeno tre settimane, lasciando la gente disperata. Senza elettricità non si possono usare né lavatrici, né frigo. Sono stati messi dei generatori elettrici enormi che danno 2 ampere per casa, che servono per accendere due luci e una tv. Qualcosa meglio del buio totale. La vera sfida è l’acqua. Ad Aleppo ci sono molti pozzi d’acqua. Si sviluppa il mercato nero per prendere l’acqua potabile. Così, nei nostri centri francescani, tre nella città, offriamo l’acqua a chi ne ha bisogno, dalla mattina alla sera tardi. Tanti bambini sono morti perché hanno bevuto acqua non potabile. Nessuno si aspettava l’emergenza dell’acqua potabile. Molte famiglie non hanno contenitori di metallo per conservare l’acqua potabile, ma non avendo il lavoro, come fanno a comprarli? Così, con tanto coraggio abbiamo lasciato la porta aperta e abbiamo distribuito 1000 contenitori per l’acqua potabile. Fare la fila per prendere l’acqua richiede di stare in piedi per quattro-cinque ore, così a molti adulti sono venuti problemi alle articolazioni. Per questo, abbiamo creato il progetto dei camioncini, con i quali portiamo l’acqua a chi abita nei piani alti delle abitazioni. In questo modo dissetiamo circa 40/50 case al giorno, ma dopo una settimana abbiamo già una lista di 600 famiglie che chiedono l’acqua. È una vera sfida. Non siamo un ministero dell’acqua sotterranea, ma riusciamo a fare il minimo con quello che abbiamo”.
La croce dei cristiani ad Aleppo. Testimoniare la fede sotto le bombe.
“La croce, per la parte Ovest, è vivere sotto le bombe. Gli jihadisti non riescono ad entrare in quella parte della città e allora, come vendetta e come odio, contro il popolo innocente lanciano missili di notte e di giorno, con grande precisione colpiscono nelle grandi folle, nelle moschee, negli ospedali, nelle chiese e nelle scuole. Il bersaglio è tutta la popolazione. Noi cristiani siamo l’obiettivo di questi missili. Sopratutto nella Messa domenicale, come mi è accaduto, o nella settimana santa. Una volta colpiscono Al-Midan, un’altra Schemania. Ogni anno prima della Pasqua, abbiamo un incontro con sorella morte. Il 60% delle chiese sono state distrutte, i 2/3 dei cristiani non ci sono più. La zona in cui c’è la casa di cura Vincenzo De Paoli era il cuore della vita dei cristiani, ma ora è inagibile. Andare alla messa significa essere pronti anche a dare la vita. Ci abbandoniamo sempre al buon Dio”.
Profughi, per disperazione e terrore.
C’è un’immigrazione interna nella Siria. Altri si buttano in altre città, o in Turchia, Giordania e Libano. Nel campo di profughi della Giordania, hanno parlato di rapimento di centinaia di bambini siriani, che sono stati venduti come schiavi in altri paesi arabi. La gente si butta fuori per disperazione. Se regna il terrore non si può fare diversamente”.
Ma la speranza domina su tutto.
“Abbiamo deciso di ricostruire delle case danneggiate, ma c’è sempre il pericolo che cadano di nuovo i missili. Quando vediamo che la gente rimane è un forte segno di speranza per ricominciare, ricostruire e ripartire. Quando sono andato ad Aleppo, non avevo nessuna esperienza come ingegnere, ma la carità mi ha spinto ad agire. Una carità coraggiosa. Per amare bisogna avere coraggio. Con la carità ci vuole la fede e allora iniziano i miracoli. Anche voi, riminesi, siete chiamati ad essere partecipi di questo compito”.
Sara Castellani