Finita la sbornia di numeri su exit poll, proiezioni, dati reali e seggi che ha caratterizzato l’indomani delle elezioni politiche è tempo di qualche riflessione. Il voto del 13-14 aprile non può non essere considerato un voto di protesta. Il popolo dell’antipolitica non si è astenuto nei termini temuti o auspicati, ma ha espresso il suo disagio in tanti modi. Ora questo disagio va ascoltato, compreso, valutato. È il voto leghista intriso di paure e di voglia di sicurezza; è il voto del’Italia dei valori che chiede giustizia rapida e pene certe; è il voto di chi protesta contro le salassate del passato governo e non ne ha compreso il significato; è il voto di chi dice basta ad una sinistra ambientalista capace solo di dire dei no e non sa più costruire una proposta; è il voto di chi non ne vuole più sapere di posizioni anticlericali e massimaliste e ha punito chi se n’è fatto alfiere; è il voto di chi, magari in maniera confusa, vuole un cambiamento e basta.
Sembra quasi che ogni espressione di voto, dall’estrema destra all’estrema sinistra, abbia un contenuto di protesta che va in qualche modo ascoltato, se si vuole uscire dalle secche attuali. Come andrà certamente ascoltato anche il grido delle posizioni più estreme escluse dall’ambito del confronto democratico nel Parlamento. Tante istanze popolari, espressione anche dei ceti più marginali, non dovranno diventare nutrimento di frange violente, sempre pronte a resuscitare.
L’Italia è oggi interessata da una difficile congiuntura mondiale, ma è anche alle prese con le sue tradizionali questioni di deficit di competitività, coesione, solidarietà, identità e di efficienza, modernizzazione. Ora il governo Berlusconi ha tutti i numeri necessari per governare. L’agenda è stracolma di situazioni in cui verranno messe alla prova la sue parole di bravo venditore: la riduzione promessa della pressione fiscale, ma anche la garanzia di servizi fondamentali come salute, scuola, sicurezza; la fatica delle famiglie di arrivare alla “quarta settimana”; le infrastrutture e le difficoltà di finanziamento, ma anche dei tanti veti localistici. L’Alitalia sarà il primo banco di prova. Se la difesa dell’italianità sarà solo elettorale o reale o ancora peggio, a carico del contribuente. Buon lavoro Presidente.
Giovanni Tonelli