La terra ha sete. È ormai una situazione endemica: le piogge scarseggiano e le bombe d’acqua, sempre più frequenti, non bastano a ricaricare falde sotterranee (il terreno non le assorbe) né fonti idriche superficiali. La siccità di questi mesi infuocati (ma in realtà si protrae dall’inverno) ha inaridito il Marecchia. Le falde sono 13 metri sotto il livello di campagna. La Diga di Ridracoli è anch’essa a livelli modesti, seppur ancora non preoccupanti, come sottolinea Tonino Bernabè, presidente di Romagna Acque, il “grossista” di tutte le fonti idropotabili che arrivano in area romagnola. E, a sud, la Diga del Conca, attivata dalla società pubblica in estate per far fronte all’impennata turistica, quest’anno chiuderà un mese prima per tutelare le sue specie ittiche.
Sebbene, ribadisce Bernabè, siamo ancora lontani dal bollino rosso di altre aree, come la stessa Emilia, resta una domanda: il territorio cosa può fare per premunirsi e tutelarsi in vista di periodi a secco sempre più frequenti? Come creare riserve preziose?
Partiamo dalle fonti. “Ridracoli ha attualmente un livello di 19 milioni e mezzo di metri cubi d’acqua su una portata massima di 33.– spiega Bernabè – Ma di utilizzabili (il fondo non lo possiamo trattare) ne abbiamo di fatto 14 e mezzo”. C’è una riduzione complessiva di disponibilità su tutto l’anno. La Diga rappresenta oltre il 50% dell’apporto idrico romagnolo e circa un terzo nell’area della provincia di Rimini.
“La Romagna non è in emergenza perché sono state fatte delle scelte fondamentali” afferma ancora Bernabè che ricorda sia il Canale Emiliano Romagnolo sia il Potabilizzatore di Standiana (Ravenna), una sorta di Ridracoli bis, che ha aumentato la produzione idrica annua romagnola di 20 milioni di metri cubi. “Questo consente un surplus che prima non avevamo, e di tenere in cassaforte la risorsa nei periodi in cui abbiamo più acqua, per una maggiore razionalizzazione della rete su tutto il territorio”.
Nel Riminese però il maggior apporto idrico (due terzi) dipende dalle falde del Marecchia. “Rispetto al 2007, quando eravamo a meno 20, meno 26 addirittura in ottobre, abbiamo 7 metri in più” vede il lato positivo il numero uno di Romagna Acque.
Ma anche il Conca è in secca. Quest’anno ha un apporto di 60mila metri cubi, niente rispetto a quando la diga è piena (un milione e mezzo di metri cubi). “Chiuderemo la Diga un mese prima per salvaguardare il livello minimo del fiume e i suoi pesci”.
Per fortuna c’è il Po. “Le piogge di qualche giorno fa tra Piemonte e Lombardia hanno fatto aumentare di 50 centimetri gli apporti al fiume”. Ne trae beneficio anche il Cer (il Canale Emiliano Romagnolo di cui da tempo si attende l’arrivo in provincia): si allaccia al Po a Bondeno (Palantone). “Da qui noi vettoriamo l’acqua che dalla Standiana viene mandata al Ravennate e al resto dell’acquedotto” spiega Bernabè che assicura che riusciremo ad arrivare tranquillamente a fine stagione. Resta il fatto che le previsioni più a breve raggio non danno nemmeno un goccio d’acqua.
Che fare per evitare danni? “Il rischio è che spendiamo risorse in emergenza anziché in programmazione. Come trattenere le acque piovane? “Va aperta una riflessione, e l’abbiamo aperta con la Regione. Gli indirizzi sono sempre quelli di preservare le falde sotterranee da un eccessivo mungimento che causa il consumo della falda stessa e l’inaridimento del terreno. Il prelievo da falda dovrebbe essere solo di salvaguardia straordinaria, quindi dobbiamo aumentare la disponibilità delle fonti superficiali”. Romagna Acque sta ragionando con il Dipartimento di Ingegneria idraulica dell’Università di Bologna, su impianti di stoccaggio idrico su aree montane e appenniniche, un po’ sul modello di Ridracoli. “Vanno valutate le infrastrutture ma anche i costi”. Le strade sono due: “Optare per un potenziamento delle reti esistenti oppure andare ad intercettare, se ci sono, altri invasi da collegare attraverso le reti”. Ci sono? In realtà sì, ma sembrerebbero ad oggi ad uso esclusivo dell’agricoltura e industria. “Si dice che il 50% dell’acqua disponibile è utilizzato e a disposizione dell’agricoltura e zootecnia, – ricorda Bernabè – il 21% dell’industria, il 20% dell’idropotabile e il 5% per produzione di energia idroelettrica. Quindi ci sono invasi che vengono usati a scopo idroelettrico e irriguo. Ciò non necessariamente esclude che possano essere finalizzati anche ad un utilizzo idropotabile. Le decisioni andranno prese insieme a Consorzio di Bonifica e al gestore Hera”.
Reti idriche e dispersioni. L’acquedotto principale è sotto l’1%, praticamente nulla. Le maggiori perdite sono nell’area distributiva perché le reti hanno una vita media di 30-40 anni. “So che Hera fa interventi programmati e sta sostituendo i tratti in eternit. – prosegue Bernabè – Rischi in questo caso non ci sono perché l’acqua ha dei processi di calcificazione che creano un velo che protegge il passaggio dell’acqua dal tubo. Infatti, non sono mai state registrate problematiche legate ad eventuali rischi di questo tipo. Anche questa è una materia per cui serve una programmazione continuativa nel tempo. Nei bilanci di Hera leggiamo che le perdite sono a 19% contro un 37% nazionale.
L’appello. Bernabè invita ad intervenire sulle abitazioni. Un esempio? Le reti duali: se riesco a raccogliere l’acqua piovana per fare la doccia e l’acqua che uso per la doccia la posso riciclare per lo sciacquone, non uso l’acqua potabile per lo sciacquone. Sono aspetti che riguardano la sensibilità di ciascuno di noi, possono essere inseriti nei regolamenti edilizi dei Comuni come ha fatto Bologna e stimolati tramite incentivi. L’acqua è un tesoro per tutti.
Alessandra Leardini