Questi dati non si possono manovrare con leggerezza. Rimini ha la più alta incidenza di malati di Aids d’Italia: 10,6 casi ogni 100mila abitanti nel 2011. Nel resto del Paese il rapporto si ferma a 5, in Emilia-Romagna sale a 10. Le stagioni precedenti riminesi, poi, erano ancora più drammatiche: 13,8 nel 2009 e 14,8 nel 2010. “Per la prima volta quest’anno il trend è in diminuzione: – fa notare il bicchiere mezzo pieno il dottor Andrea Boschi, responsabile area Aids Unità Operativa «Malattie Infettive» dell’Ausl di Rimini, diretta dal dott. Massimo Arlotti – l’incidenza si attesta sui 10 casi ogni 100mila abitanti, più in linea con le percentuali regionali”.
I motivi dell’alta incidenza andrebbero ricercati, secondo l’Ausl riminese, in diversi fattori. Ad esempio il consistente numero di stranieri (il maggiore in tutta la regione), e i residenti fuori provincia che raggiungono l’Arco d’Augusto. Perché Rimini ha un quadro così diverso? Boschi allarga le braccia: “per analizzare dati del genere ci vorrebbe un sociologo, io sono un clinico. Forse Rimini è scelta come residenza perché è percepita come città più libera e con meno discriminazioni”.
Nell’ultimo lustro sono state 286 le persone affette da Hiv prese in carico dall’Ausl di Rimini. 35 le nuove diagnosi solo nell’ultimo anno. 198 sono riminesi, 14 arrivano da altre province dell’Emilia Romagna, 27 da altre regioni, 43 sono stranieri. Per i residenti l’incidenza media annuale nel lustro 2006-2011 è di 11,5 casi per 100mila abitanti, numero molto al di sopra della media nazionale e regionale.
Torniamo ai numeri. Chi sono i più colpiti dal virus Hiv? L’incidenza maggiore è tra gli uomini: 19 casi per 100mila. Anche in questo caso siamo ben oltre la media regionale, ferma a 13,3. Diverso il discorso per le donne. Le donne che contraggono l’infezione a Rimini si fermano a 4,4 ogni 100mila, mentre la media regionale è di 4,8.
C’è però l’impressione che i numeri complessivi si siano stabilizzati. I sieropositivi, cioè, continuano ad essere sempre tanti, nonostante le possibilità di diagnosi e di cura siano molto più avanzate ed efficaci rispetto ad alcune stagioni fa. “I dati dicono che l’infezione Hiv si è stabilizzata. – ha rilanciato il dottor Boschi ai microfoni di RadioIcaro – Avremmo gli strumenti per ridurre l’infezione, ma la scarsa consapevolezza e attitudine ad eseguire diagnosi precoci, inficiano i benefici di cui è in possesso la medicina”.
Di Aids poi si parla sempre meno. L’occasione per tornare ad occuparsene è la Giornata mondiale per la lotta contro l’Aids, celebrata sabato 1 dicembre. Se da una parte questo “silenzio” è salutare, e si accompagna a terapie più efficaci che hanno reso l’infezione più cronicizzabile, dall’altra c’è da registrare che tante, troppe persone arrivano tardi alla diagnosi. “Si stima che in media trascorrono 7 anni da quando si contrae l’infezione al momento in cui arriva la diagnosi” fa notare preoccupato il dottor Boschi. Risultato: “la malattia continua ad avere la stessa diffusione di 10, 15 anni fa, a Rimini come nel resto del Paese e in tutta Europa”. E pensare che presa per tempo, l’Hiv oggi può essere aggredita e le cure consentono all’ammalto di trascorrere una vita “normale” fino alla vecchiaia.
Qual è la causa principe del contagio? A Rimini la prima causa contrariamente a quanto si può pensare resta la trasmissione per via sessuale. Oltre il 60% per rapporto sessuale eterosessuale, seguito da quelli omo-bisessuali (20% circa), dall’uso di droghe di tipo iniettivo e altre modalità.
Spesso è proprio il fatto di non sentirsi categoria a rischio, che rende difficile e tardiva la diagnosi, con conseguenti problemi sia per le cure che per la diffusione del virus. “Il 30% delle persone affette da Hiv non sanno di esserlo. – spiega Boschi – Chi arriva più tardi alla diagnosi sono gli eterosessuali sopra i 50 anni, perché si sentono meno a rischio. E così nessuno prende precauzioni, non si cura, e quando arriva la diagnosi il quadro clinico si è già aggravato. La diagnosi precoce è prevenzione fondamentale per sé e per gli altri.”. Da qui il consiglio del responsabile area Aids Unità Operativa «Malattie Infettive» dell’Ausl di Rimini: “Eseguire il test Hiv almeno una volta nella vita. – chiosa Boschi – Gli Stati Uniti hanno adottato questa strategia, bisognerebbe farlo anche da noi”. L’esame può essere eseguito, in via anonima, presso il reparto “Malattie Infetive” dell’ospedale “Infermi”, a Rimini. E le categorie particolarmente a rischio una volta l’anno.
Paolo Guiducci