Si è concluso all’Auditorium il ciclo sinfonico della sessantottesima Sagra Musicale Malatestiana salutato da moltissimo pubblico
RIMINI, 8, 11, 15 settembre 2017 – Inutile nasconderselo: la vocazione di Rimini è quella di una città legata al cinema. E la sessantottesima edizione della Sagra Musicale Malatestiana non ha fatto altro che confermarlo, richiamando un pubblico numerosissimo per l’ultimo appuntamento concertistico all’Auditorium del Palacongressi, dove era in programma Fantasia, il capolavoro di Walt Disney del 1940 (e riedito nel 2000), accompagnato dall’esecuzione di musiche dal vivo. Come base sonora di immagini appartenenti sia alla prima che alla seconda versione, celeberrime pagine musicali: da Beethoven a Čajkovskij, da Debussy a Stravinskij e Respighi, passando per Ponchielli e Dukas. L’impresa di armonizzare video e suoni, molto più impegnativa di quanto si possa pensare, era affidata all’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Costretto all’uso delle cuffie per garantire il sincronismo tra la musica e le animazioni, il direttore Christopher Franklin ha guidato gli strumentisti bolognesi con gesto nitido e rigore metronomico, anche se questa precisione non è sempre apparsa sufficiente a scongiurare qualche irregolarità ritmica dell’orchestra: per fortuna le immagini, con la loro suggestiva potenza, hanno catalizzato tutta l’attenzione del pubblico e dei numerosi bambini presenti.
La serata cinematografica andava a siglare il ciclo di concerti sinfonici, che da sempre rappresentano gli appuntamenti più seguiti della Sagra. Dopo l’esordio affidato all’Academy of St Martin in the Fields, di fatto un insieme cameristico anche nella concezione del suono, e a una serata con l’Orchestra di Santa Cecilia, terza protagonista in cartellone è stata la NDR Elbphilharmonie, attualmente insieme strumentale in residenza nell’omonima sala da concerti inaugurata ad Amburgo lo scorso gennaio. Gli ottimi musicisti tedeschi, guidati da Juraj Valčuha, hanno esordito nel nome di Mendelssohn e della sua Quinta sinfonia (in realtà ancora una tappa, seppure molto significativa, nell’apprendistato del ventunenne compositore), conosciuta come La Riforma perché concepita nel 1830 per celebrare il terzo centenario della confessione protestante di Augusta.
Una scelta che sottintende molteplici significati: Mendelssohn era nato ad Amburgo – anche se i genitori si trasferirono ben presto a Berlino – e il piccolo Felix, cresciuto in una famiglia ebrea, a sette anni aveva ricevuto il battesimo della chiesa riformata. Gli orchestrali sono riusciti a sottolineare, attraverso un’esecuzione nell’insieme giustamente severa, una pagina densa di richiami religiosi: dal famoso Amen di Dresda al più noto corale luterano Ein’ feste Burg, utilizzato nel finale. E se l’empatia di Valčuha con questo autore è forse più formale che di sostanza, è con Strauss che il quarantunenne direttore slovacco ha dato il meglio di sé. Con il grande vitalismo e lo straordinario senso del colore che contraddistingue le sue direzioni, ha affrontato il poema sinfonico del 1889 Don Juan, valorizzandone la smagliante orchestrazione, nonché il plastico andamento di una musica che segue fedelmente la scansione del dramma in versi in cui Nikolaus Lenau rivisita il mito del grande seduttore. Molto ben assecondato dagli strumentisti anche nell’ultimo brano in programma, il poema sinfonico di un anno successivo Tod und Verklärun (Morte e trasfigurazione, ispirato a una poesia di Alexander Ritter): meditazione su un uomo – un artista – che sta morendo e ripensa alla propria vita e alle aspirazioni della sua esistenza. Per Valčuha si è trasformata in occasione per esaltare la ricchezza delle seducenti sfumature di questa pagina fino allo splendido finale, reso in modo esemplare.
Magnifico il concerto della Filarmonica di San Pietroburgo. Con la direzione di Yuri Temirkanov, fortunatamente tornato in attività dopo un periodo d’interruzione che lo ha portato a cancellare alcuni appuntamenti nel nostro paese, i formidabili musicisti hanno proposto due pagine di matrice russa. In programma il raro Primo concerto in la minore per violino di Šostakovič con la spagnola Leticia Moreno ottima solista: un brano dalla genesi travagliata, che già ultimato nel 1948 dovette attendere il 1955 – ossia due anni dopo la morte di Stalin – per essere eseguito. Con la sua scansione anomala (comincia insolitamente con un ‘moderato’, seguito da un ‘allegro’, e si articola in quattro tempi in luogo dei canonici tre), questo concerto affascina per la capacità di trascolorare dall’andamento melodico del primo movimento a un tecnicismo sempre più virtuosistico in grado di tenere avvinta l’attenzione dell’ascoltatore senza mai un cedimento. Da parte sua, Temirkanov ha sottolineato l’ossessiva componente ritmica di una musica capace di rendere l’ansietà e le inquietudini novecentesche. La seconda parte era interamente dedicata alle Danze sinfoniche di Rachmaninov del 1941, che nel loro insieme presentano una compattezza degna di una sinfonia. Assecondato dai magnifici e duttili strumentisti di San Pietroburgo, il direttore ha fatto avvertire l’inesauribile varietà timbrica e ritmica e la ricchezza di colori di una musica in cui affiorano echi di Čajkovskij e Rimskij-Korsakov, accanto a quelli folclorici e della liturgia ortodossa. Si materializza così, dietro al dolce lirismo della memoria, la struggente nostalgia del compositore russo trapiantato negli Stati Uniti. E che diventa la nostra.
Giulia Vannoni