In un periodo di crisi e difficoltà economiche, nessun comparto della vita viene risparmiato dai tagli. Anche la scuola pubblica – che solitamente è presa di mira anche nei momenti di maggior benessere sociale – ha visto, in questi anni, calare drasticamente il denaro dello Stato. Se gli aspetti più eclatanti sono sotto gli occhi di tutti, ci sono però problemi meno evidenti ma altrettanto gravi. Il tema degli insegnanti di sostegno per studenti con handicap o con problemi di salute è uno di questi. In realtà, parlando con alcuni docenti, emerge un panorama lusinghiero della provincia e della regione negli ultimi anni, soprattutto confrontato con le altre province italiane. Eppure sembra che questo idillio stia iniziando ad incrinarsi. Le difficoltà aumentano per i genitori e gli insegnanti, e dall’altra parte gli enti pubblici diventano sempre più un muro di gomma con cui è difficile interagire.
Luca Ugolini, professore di matematica al Liceo Scientifico Einstein di Rimini e responsabile settore scuola per l’Associazione Papa Giovanni XXIII ci aiuta a capire cosa sta succedendo.
“È indubbio che a livello nazionale la situazione stia peggiorando. Assistiamo continuamente al taglio degli organici e all’aumento degli alunni per classe. Si creano situazioni difficili da gestire. Se prima poteva capitare un ragazzo, massimo due, disabili per classe, oggi si trovano anche classi con 7 ragazzi con handicap. E questo a fronte di un numero minore di professori. La media nazionale è di un professore ogni 2 ragazzi disabili”.
Numeri alla mano, secondo i dati forniti dall’Ufficio Scolastico Provinciale di Rimini, nell’anno scolastico 2009/2010 sono 920 gli alunni in situazioni di handicap così divisi: 104 nella scuola dell’infanzia, 324 nella scuola primaria, 233 in quella secondaria di primo grado e 259 in quella di secondo grado. Come supporto per questi 920 alunni ci sono 395 professori. Secondo un semplice calcolo si ottiene un professore ogni 2.3 alunni. Quindi il carico per ogni professore è più alto rispetto alla media.
“I numeri messi così spiegano poco, quello che emerge è la mancanza di insegnanti di sostegno in grado di coprire tutte le ore necessarie”.
Ma quante ore passa un insegnante di sostegno con i ragazzi?
“Dipende da alunno ad alunno. La copertura media è di 5 o 6 ore alla settimana, se la situazione non è molto grave. Per i casi più difficili si arriva anche a 22 ore. Per stabilire il numero di ore serve un quadro clinico accurato. Una volta l’ammontare era deciso dalla commissione medica. Ora è il Gruppo di Lavoro sull’Handicap a stabilirlo. Il GLH è un gruppo interno alla scuola: vi partecipano i professori, i genitori, il preside e i rappresentanti dell’Ausl. L’idea di base è buona, così ogni realtà locale può valutare i singoli casi. Ma non sempre c’è tutto lo spazio di autonomia necessario”.
Fino a qui è tutto chiaro. Ma c’è una cosa che non torna. I professori vengono assunti dal ministero per la Pubblica istruzione indipendentemente dai dati del GLH. Ora, se il totale delle ore richieste dagli alunni con handicap è superiore a quelle lavorative degli insegnati di sostegno, cosa succede?
“Sulla base della Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, Legge 104 del 1992 che afferma l’inalienabile diritto allo studio per le persone con handicap, succede che se un genitore fa ricorso al TAR perché riceve meno ore di sostegno di quelle stabilite, lo vince. Il tribunale obbliga lo Stato a fornire la copertura totale di ore. A quel punto lo Stato assume un nuovo insegnante e sfora il tetto delle spese”.
Il problema è che queste sentenze non fanno giurisprudenza. L’anno successivo lo Stato non conferma le nuove assunzioni e il numero di professori è di nuovo in difetto, e così riparte tutto il balletto dei ricorsi e delle nuove assunzioni. Per fortuna, come conferma il professor Ugolini, il TAR è veloce, e spesso a novembre escono già le sentenze. Rimangono però alcuni mesi di “scoperto” in cui l’alunno non riceve l’assistenza di cui ha diritto. Non ci sono altre strade per dialogare con lo Stato. Il problema è cronico.
“Tutte le altre strade sono saltate. Solo 15 anni fa facevamo manifestazioni in piazza, oppure andavamo a Roma e riuscivamo a fare pressioni sul Governo. Oggi tutto questo non accade più. A Roma sono sordi a qualsiasi richiesta, e l’unica azione che rimane alle famiglie è il ricorso. È vero che poi si ottiene sempre una risposta positiva, ma molte persone sono restie a passare per le vie legali, oppure non amano parlare troppo dei loro problemi e preferiscono non fare nulla, subendo così una privazione”.
Il Dirigente
Sulla stessa linea si conferma il Dirigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Rimini Vincenzo Viglione, che alle nostre domande sul rapporto tra alunni handicappati e insegnanti di sostegno ha così risposto.
“I numeri sono nella media. Di più non posso dire. Venti giorni fa abbiamo ricevuto un richiamo direttamente dal Ministero di non rilasciare informazioni. Per avere notizie al riguardo si può parlare direttamente con l’Ufficio Stampa regionale o, per questioni complicate, col ministero della Pubblica Istruzione”
E il concetto di trasparenza pubblica?
“Noi facciamo capo al ministero della Pubblica istruzione, ma abbiamo un rapporto di lavoro di tipo privato. Ci viene chiesta la fedeltà al datore di lavoro. Per cui se si tratta di fare avere i dati richiesti lo facciamo (i dati, infatti, li abbiamo ricevuti ndr), ma non possiamo andare oltre, rilasciare commenti, o parlare dei problemi che ci riguardano”.
Insomma, lo Stato ragiona come un’azienda. Va da sé che gli Uffici Stampa hanno un carattere più promozionale che informativo, e che entrare in contatto col Ministero è un’impresa a dir poco titanica. Per cui, alla fine, l’unica cosa che davvero traspare è che l’Azienda Stato voglia solo far quadrare i conti e si metta a fare tagli per pareggiare il bilancio.
“Il problema è che a rimetterci sono sempre i più deboli. È vero che la crisi c’è e che i tagli riguardano tutti, ma in questo caso viene penalizzato pesantemente chi ha davvero bisogno. E questo vale per tutta la classe. Un ragazzo handicappato seguito da un insegnante di sostegno è un modo per far crescere tutta la classe. L’alunno con handicap, grazie al professore, riesce a seguire il programma di tutta la classe, e contemporaneamente la convivenza ha un effetto positivo per tutti gli altri ragazzi. In Europa, ad esempio, hanno preso piede le scuole speciali riservate ai ragazzi handicappati che hanno l’indubbio vantaggio di valorizzare al massimo ogni singolo studente, con un approccio mirato, però, dall’altra parte, tendono a ghettizzare chi ha delle difficoltà. Sulla carta il sistema italiano è perfetto, ma per funzionare lo Stato deve crederci e investirci. Non ci sono altre soluzioni”.
Forse il problema è proprio questo.
Stefano Rossini