Conquistata dal grande “gigante” asiatico, da uno dei paesi più in grado di affascinare e intimorire al tempo stesso per l’enorme diversità culturale che lo divide dalll’Occidente. La 26enne Veronica Molinari, riminese, da qualche anno vive in Cina. A Pechino era arrivata per trascorrere un semestre di studio intensivo finalizzato a migliorare la conoscenza della lingua. Ma col tempo la terra degli “occhi a mandorla” è diventata una passione fortissima, insieme a tutte le sue complessità.
Cosa ti ha spinto a rimanere all’ombra della Grande Muraglia?
“La prima volta che sono approdata a Pechino è stata nel 2010. Ero prossima alla laurea triennale a Venezia dove ho intrapreso un corso mirato allo studio del cinese mandarino (lingua ufficiale del Paese) applicato all’economia. Una volta completato il semestre e rientrata in Italia, la complessità culturale che unisce e, al tempo stesso, divide Oriente e Occidente aveva già preso il sopravvento su di me. Comprenderla e confrontarmici ogni giorno era diventato fondamentale per me, così ho capito che i miei anni futuri sarebbero stati qua. In seguito ho deciso di seguire un corso di laurea in economia e commercio in cinese che mi ha così permesso di perfezionare il livello di lingua e di comprendere più da vicino le dinamiche economiche, sociali e culturali della Cina”.
Che lavoro fai a Pechino?
“Già prima del conseguimento della laurea in Cina, per non gravare troppo sui miei genitori, ho iniziato a insegnare italiano a studenti cinesi che vogliono venire a studiare nel Bel Paese. Ricordo ancora nel febbraio 2011 la mia prima lezione ad una classe di coetanei: un vocìo incomprensibile… Mi hanno chiesto di indicare sulla cartina da dove provenissi, quasi ad accertarsi che fossi davvero italiana! Poi domande a raffica e tanta curiosità da parte loro… È lì che mi sono resa conto d’essere come un ponte tra Oriente e Occidente e della grande fortuna che avessi a viverla, questa complessità socio-culturale”.
Poi cosa è successo?
“Terminati i miei due anni di studi in Cina ho di recente conseguito la laurea magistrale a Ca’ Foscari con una tesi sull’agroalimentare italiano relativamente alle opportunità di mercato per vino e salumi in Cina. Tuttora continuo ad insegnare, ma il mio desiderio sarebbe di fare business e di collaborare con aziende italiane interessate ad entrare nel mercato cinese. Ho iniziato a fare consulenza ad aziende italiane, e non escludo anche l’inverso: portare i cinesi in Italia aiutandoli a collaborare con aziende nostre. L’Italia è sempre l’Italia e, dopo quasi 5 anni trascorsi qua, inizio a sentirne la mancanza. Il clima, i sapori di casa, la genuinità e il senso pratico di vivere senza troppi fronzoli di noi italiani li si ritrovano difficilmente in Cina”.
Quali sono state le tue difficoltà iniziali in terra cinese?
“Non è stato facile confrontarsi col pragmatismo, un po’ materialista, che nutre i cinesi (i soldi, arricchirsi per loro è glorioso) e con il cosiddetto concetto di «non perdere mai la faccia», ossia di attuare quell’escamotage che porta i cinesi, per una questione di difesa, a stare sull’attenti senza mai esporsi troppo con l’altro… Questa tendenza è estesa un po’ a tutti i livelli, ma il salto lo si riesce a fare solo quando le relazioni non sono troppo legate al mondo degli affari o di interessi personali d’altra natura. Quanto al cibo, sono sempre stata una buona forchetta ed è stato proprio l’ultimo dei miei problemi! Per varietà di piatti e sapori, la tradizione culinaria è molto simile alle nostre cucine regionali”.
Sono molti i pregiudizi con cui si guarda spesso alla Cina e ai cinesi. Ne hai qualcuno da sfatare?
“Quello della pulizia, ahimè, è un po’ un tasto dolente.. Fatta eccezione per i centri nevralgici dell’economia e zone super globalizzate, per strada si trova ogni tipo di rifiuto. Sebbene lo sviluppo economico sia il fiore all’occhiello di questo Paese, in termini di civiltà c’è ancora tanta strada da fare. Nelle grandi metropoli, come Pechino, almeno l’80% degli abitanti proviene dalle campagne più sperdute e arretrate (dove, nel 2014, ancora si vive con meno di 30 euro al mese!) e viene in città per lavorare e fare fortuna. Poi non dobbiamo mai dimenticare che la Cina esce da decenni di repressione e dittatura dove istruzione ed educazione superiore erano bandite”.
Altro luogo comune: è vero che i cinesi lavorano giorno e notte?
“Lavorano tante ore, questo è vero (anche 10-12 ore al giorno) ma almeno quattro di queste ore le passano a riposare, dormendo sulla propria scrivania o un rifugio di fortuna, come carretti e cartoni accatastati per strada, perché i cinesi in realtà, appena possono, si concedono volentieri una pennichella, pure sulle brevi distanze dei tragitti in metro, per poi svegliarsi, precisi come un orologio svizzero (e non si sa bene come facciano!), alla propria fermata”.
La Cina è uno dei Paesi che Rimini cerca di sedurre in ambito turistico. Come ci considerano i cinesi a loro volta? Sono interessati all’Italia e conoscono Rimini?
“Se ai cinesi parli di Italia, subito la associano alla moda, all’arte, alla cultura, alla Dolce Vita, allo stile di vita italiano. E in termini di felliniana Dolce Vita, si sa, il passo a Rimini è breve. Nell’immaginario collettivo cinese, Rimini è associata al mare, alla qualità dell’aria che vi si respira, e all’aver dato i natali a Fellini, molto conosciuto pure da loro. Per la sua storia e cultura, per i fascinosi scorci della città e dell’entroterra, enogastronomia, shopping, qualità dei servizi, calore dell’accoglienza, strutture all’avanguardia per meeting e turismo balneare, Rimini ha tutte le carte in regola per diventare una potenziale destinazione per il turista cinese. In questo senso, Rimini sta compiendo passi da gigante, anche grazie al contributo e dedizione nella missione promossa dall’associazione Chinese Friendly Italy, network italiano (che mi vede tra i collaboratori) di operatori turistici quali alberghi, ristoranti, musei, destinazioni specializzate nell’accoglienza ad hoc per i turisti cinesi”.
Alessandra Leardini