Nuovi profughi, quale accoglienza? Lo scandalo scoppiato negli ultimi giorni a Miramare attorno all’ex hotel Landi di via Aprilia, teatro di risse e aggressioni tra gli stessi migranti ospiti della struttura, mostra bene come in gioco non ci sia solo un numero di posti letto, ma soprattutto il tipo di accoglienza che si mette in motore. Proprio quanto avvenuto nell’ex hotel gestito da Immedia Srl, che ospita oggi 26 tra profughi e richiedenti asilo da Nigeria, Senegal, Ghana, Costa D’Avorio e Mali, è l’esempio di quelli che possono essere i rischi di grandi concentrazioni lasciate a sé, con tensioni interne ed esterne, l’opposto di quello che dovrebbe essere un vero modello di integrazione.
In attesa. Ma torniamo alla domanda di partenza: quale accoglienza? Il bando indetto a fine giugno dalla Prefettura di Rimini per l’affidamento del servizio di accoglienza ed assistenza di 1.250 nuovi cittadini stranieri in arrivo sul territorio, è scaduto il 31 luglio ed è ancora in attesa dell’apertura delle buste. La prima seduta pubblica di gara, prevista per il 3 agosto – si legge nel sito dell’Ente – per motivi amministrativi è rinviata a data da destinarsi. Il motivo è noto: il bando è stato disertato da quasi tutte le associazioni e onlus impegnate da anni in materia. Ad esso avrebbero partecipato solo Croce Rossa Italiana e Croce Oro, ma potrebbero essere offerte insufficienti a coprire la richiesta. Parliamo, infatti, di una gara pubblica da quasi 54 milioni di euro (suddivisi in 23 per il capoluogo, 18 per la zona provinciale sud, 12 per quella nord) che prevede l’assegnazione della messa in carico di ben 1.250 profughi, come detto (nello specifico, 543 nel capoluogo, 423 nell’area sud e 284 nell’area nord). Perché le associazioni e onlus più importanti in materia non vi hanno partecipato?
Il 1° agosto, scaduti i termini, queste stesse realtà hanno scritto ed inviato insieme una lettera al Prefetto di Rimini, Gabriella Tramonti, per spiegare le loro motivazioni. Una risposta ufficiale non è ancora arrivata, sebbene l’impressione è che qualcosa si stia muovendo. Parliamo di realtà come l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Coop. Madonna della Carità (Caritas diocesana), Coop. Centofiori, Associazione Ardea, le coop. CAD, Terre Solidali, Metis, Eucrante, Edith Stein e la ditta Immedia Srl.
Nuovi criteri. “In questi ultimi anni, sull’onda dell’emergenza iniziata a marzo 2014, abbiamo condiviso insieme alla Prefettura di Rimini una modalità di lavoro precisa, basata su un modello di accoglienza diffusa” spiega Luciano Marzi, referente dei progetti di accoglienza della Coop. Madonna della Carità. Un modello indicato proprio da Ministero e Anci (Ass. nazionale Comuni Italiani) che Rimini ha anticipato a livello nazionale. “L’obiettivo era di ospitare queste persone in strutture di piccole e medie dimensioni, non solo fornendo loro vitto e alloggio, ma seguendole in un percorso di progressiva autonomia”. Non solo affrontare tempestivamente problematiche emergenziali, ma favorire un percorso di integrazione. “Per questo sono sempre state evitate situazioni di sovraffollamento ed emarginazione” prosegue Marzi. L’ultimo bando, però, parla di strutture fino a 100 posti. Mai successo. Nel bado precedente si scendeva ad un massimo di 60 posti per struttura. “E’ importante che le disponibilità siano da 2 a 6 posti al massimo o, laddove si tratti di case indipendenti, di 10-12”, spiega Marzi.
Condizioni quasi proibitive. Il bando presenterebbe inoltre diversi cavilli amministrativi. “Prevede che in queste grandi strutture sia presente un numero minimo di operatori (in base ai posti) di vario livello, dall’operatore sociale al medico, 24 ore su 24 – continua Marzi –. Chi gestisce grandi centri probabilmente riesce ad avere una sostenibilità economica tale da potersi permettere queste risorse, noi come gli altri che hanno scelto di non presentare alcuna offerta a queste condizioni, no”.
Sfogliando i vari capitolati allegati, ci sono anche paradossi legati agli adempimenti che gli aggiudicatari del bando dovrebbero assolvere. Anche un appartamento con sole 4 persone, ad esempio, per cui si potrebbe pensare ad un percorso di semi-autonomia, diventerebbe un luogo di lavoro perché dovrebbero esserci degli operatori e quindi ci si dovrebbe adeguare alla relativa normativa in materia di sicurezza. Cosa comprensibile in una struttura di 50 posti, ma in una situazione così piccola lascia perlomeno qualche perplessità.
Il bando inoltre, solo per fare un altro esempio, vieta agli aggiudicatari di mettere a disposizione appartamenti in palazzine a meno che queste non siano interamente affidate alla causa. Anche questo vincolo, precedentemente, non era contemplato.
Non è tutto. C’è poi un problema, non poco rilevante, di sostenibilità economica: il bando prevede come importo massimo per ogni persona ospitata un corrispettivo di 34,50 euro al giorno (Iva esclusa). L’ammontare effettivo sarà determinato sulla base delle offerte presentate dagli aggiudicatari per il numero delle presenze effettivamente registrate nel periodo di riferimento. Una cifra inferiore rispetto ai 35 euro dei precedenti bandi. 50 centesimi moltiplicati per tutti gli ospitati e per i 700 giorni di validità del bando fanno la differenza. Ma soprattutto, quello che si chiedono le associazioni è: che fine fanno quei 437.500 euro (ottenuti moltiplicando per i 1.250 posti da assegnare) di risparmio?
Da un lato è evidente un tentativo, da parte della Prefettura, di evitare speculazioni, e questo potrebbe anche starci. Per chi avesse in mente di guadagnarci, se poi devi adeguarti a tutte le varie normative, non sarebbe possibile. È molto probabile che le realtà che hanno deciso di non partecipare alla gara, qualora avessero presentato l’offerta, avrebbero avuto seri problemi di gestione concreta, a queste condizioni.
Gianpiero Cofano dalla Papa Giovanni XXIII fa notare ad esempio che con queste condizioni, avrebbero dovuto rinunciare a diverse delle attuali strutture di cui oggi dispongono per l’accoglienza.
Resta un tema importante. Cosa succederà dopo il 31 dicembre 2017, data di scadenza del precedente bando in materia? In ballo ci sono contratti lavorativi. Solo per fare qualche esempio, la Caritas diocesana, attraverso la coop. Madonna della Carità, ha assunto per gestire l’emergenza una decina di persone, la Comunità Papa Giovanni XXIII, solo nel territorio riminese un’altra ventina. La preoccupazione di queste realtà va ai lavoratori ma anche ai rapporti contrattuali aperti con i proprietari delle varie strutture ospitanti, anche questi che fine faranno? In attesa di un incontro (chiesto) con la Prefettura per fare luce su questi aspetti, le associazioni hanno chiesto anche il supporto di Legacoop e Confcooperative. In quale forma verrà dato, ancora non si sa. Di certo anche queste incalzeranno la Prefettura per sollecitare un punto di incontro.
La situazione è delicata: da una parte non si può far finta che un bando non ci sia stato, a meno che non ci siano vizi formali da parte delle due partecipanti; dall’altra, non è ipotizzabile un secondo nuovo bando aggiuntivo con condizioni e criteri diversi.
Alessandra Leardini