Sono poche le azioni che si fanno prima della tazza del caffè al mattino, quando ancora i movimenti sono un po’ rallentati e non ci si è ancora immersi nella frenesia della giornata. Sicuramente impugnare il proprio smartphone è una di queste. Un atto automatico che si compie appena si aprono gli occhi, prima di rendersi conto di ogni cosa: la mano si muove già verso lo smartphone e si controllano le mail, i messaggi di Whatsapp o le notifiche di Instagram. Ancora, mentre si fa la colazione: si dà uno sguardo a qualche video su TikTok e si guarda il meteo che c’è fuori grazie a un’applicazione, perché spostare la tenda e osservare il paesaggio richiede troppe energie. E così si va avanti nella giornata, tra lavoro, scuola o università: il telefonino ce l’abbiamo sempre lì, in mano o almeno nella tasca, pronto per essere tirato fuori e acceso a colmare ogni piccolo attimo di inattività. Un’estensione del nostro braccio che ci semplifica molte azioni giornaliere, ma non per questo il suo uso deve diventare un abuso.
Da smartphone a… dumb-phone
Lo sa bene la Generazione Z, che si sta rendendo conto del proprio uso smodato dello smartphone e della tecnologia in generale, e per questo comincia a cambiare rotta. Almeno è quello che emerge da alcuni trend che arrivano da oltre Oceano. Negli Stati Uniti, infatti, negli ultimi tempi molti giovani stanno iniziando a utilizzare cellulari vecchio stile, quelli con il tastierino, per intenderci, lontani dalla complessità degli odierni smartphone, e che hanno come uniche funzioni quelle di effettuare (e ricevere) telefonate e inviare SMS. L’obiettivo? Provare a staccarsi dall’uso costante degli smartphone.
Secondo gli analisti di Counterpoint Research le vendite di telefonini di ultima generazione non vedrebbero uno spropositato aumento anche a causa dei dumb-phones (in gergo il contrario di smart-phone) che ancora riescono a tenere il terreno, trainati dalla disintossicazione che alcuni giovani stanno mettendo in atto e dal loro prezzo assai più basso. Tutto questo per provare a diminuire l’ansia tecnologica che ci rincorre giorno per giorno: per alcuni un sogno, per altri un incubo.
Insomma, come ogni cosa anche la tecnologia ha una doppia faccia, una positiva e una negativa, il tutto dipende dall’uso che se ne fa.
Bisogna insegnarlo anche ai giovani possessori di smartphone o di computer: non basta lasciare in mano un apparecchio digitale e basta, ma istruire al suo uso migliore, per non incappare in dipendenze o altre situazioni negative che attraverso la tecnologia e la rete si possono conoscere (come, purtroppo, molti casi di cronaca hanno reso noto).
Quella degli smartphone non è di certo una piaga, essi sono una cosa estremamente utile: ci possono aiutare pressoché in ogni bisogno durante una giornata, ma ciò non significa che non esista un limite che non va oltrepassato, oltre il quale l’uso del telefonino si trasforma in un vizio.
Il rapporto dei giovani di oggi con la tecnologia
Per fare chiarezza sull’uso della tecnologia tra i più giovani ho voluto fare due chiacchiere con Marco, 29enne di Cattolica, uno degli ultimi nati in un’epoca in cui i telefonini non erano al centro della vita di tutti i giorni, in grado quindi di raccontare l’evoluzione del rapporto con questo tipo di strumento tecnologico.
Marco, a che età hai avuto il primo contatto con la tecnologia?
“Il primissimo contatto con un computer l’ho avuto a 7-8 anni, quando sulle ginocchia di mio padre andavo a scegliere dei disegni da colorare. Qualche anno più tardi ho iniziato a fare da solo questa azione e anche altre cose un po’ più complesse. Però ricordo che con i miei amici non cercavamo di passare il tempo al computer o in casa, preferivamo fare altre cose. Certamente si passavano anche pomeriggi a giocare ai videogiochi, ma erano rari, un’eccezione che una regola”.
Invece il primo telefonino?
“Come regalo per la Cresima, dunque intorno ai 13 anni, ricordo che era pesantissimo e inviare un SMS costava tantissimo. Gli usi erano limitati, però c’erano alcuni giochi, seppur molto semplici, per passare il tempo. Un primo accenno di elemento di intrattenimento attraverso il cellulare”.
Che differenza noti nei confronti della tecnologia tra la tua e le generazioni di oggi?
“La vera differenza sta nell’avvicinamento precoce alle tecnologie. La mia, ad esempio, non è una generazione nativa digitale, è cresciuta in anni diversi e solo dopo si è approcciata con queste realtà e questi strumenti.
Dobbiamo pensare, invece, ai bambini che oggi nascono in un periodo storico in cui tutto è digitale e, quindi, il rapporto con la tecnologia li accompagna da sempre. Qualcosa cambia nell’educazione all’utilizzo di questi strumenti, che viene impartita da persone che sono nate decenni prima e che quindi di digitale hanno ben poco, hanno un approccio ben diverso”.
Credi che molti giovani abusino degli smartphone?
“Sicuramente sì, ma cerco di mettermi nei loro panni: sono quotidianamente a contatto con dispositivi che (apparentemente) possiedono tutte le risposte del mondo e quando si è piccoli si è curiosi, dunque queste due cose stanno incredibilmente bene insieme.
Lo scoprire il mondo un po’ alla volta, però, è il bello della crescita: un po’ di ‘sana ignoranza’ a volte fa bene, perché mantiene viva la bellezza della novità, della scoperta, e secondo me avere il telefonino sempre in mano toglie questa bellezza ai giovani di oggi”.
Molti giovani negli Stati Uniti, come metodo per ‘disintossicarsi’ dagli smartphone, si stanno riavvicinando ai telefonini vintage, molto meno invasivi nella vita di tutti i giorni. Credi nell’efficacia di questa inversione tecnologica che si sta facendo largo dagli USA?
“Sicuramente per alcuni giovani l’uso smodato dello smartphone è un problema e il tornare a quei dispositivi più datati non farebbe male, è un modo per cambiare abitudini. Garantisco che si può sopravvivere ugualmente! Però non si può fare di tutta l’erba un fascio e bisogna tenere conto che il mondo è cambiato: oramai è completamente digitalizzato e con lui anche le abitudini sono diverse, ed è difficile rinunciarvi del tutto. Non tiene più il paragone tra due generazioni magari distanti venti anni, il confronto con un mondo che, in pochi decenni, è cambiato profondamente”.
Federico Tommasini