In ogni epoca della storia, noi cristiani siamo invitati dal Vangelo a guardare con fede e con amore la vita degli uomini per discernere con saggezza i segni dei tempi e per farci carico delle gioie, delle fatiche e delle speranze di ciascuno. È la missione che Dio ci chiama a vivere anche oggi.
Nel mondo di oggi che cosa ci interpella e ci interroga di più?
Tutti siamo consapevoli di quanto la società attorno a noi sia cambiata profondamente.
Gli effetti della crisi economica che ha travolto il mondo non sono ancora passati: si sono persi posti di lavoro e risparmi; ma, soprattutto, la crisi ha lasciato nelle persone lacerazioni, insicurezze e paure sul futuro. L’economia, sempre più complessa, sembra ingovernabile ed ha diffuso frustrazione, impotenza e rabbia. In questo clima sorgono tentativi di cercare scorciatoie facili, oppure dei capri espiatori.
A rischio sono le prospettive per il futuro e la coesione sociale delle nostre comunità. Abbiamo paura: del futuro, degli altri, ma soprattutto (e per diversi motivi) degli stranieri e dei migranti.
In questo contesto, riconosciamo con chiarezza che la difficile situazione economica attuale non è causata dalla presenza e dall’accoglienza dei migranti; e non la risolveremo con la chiusura e con l’odio. Citiamo dal recente documento “Restiamo umani”, delle Chiese cattoliche ed evangeliche in Italia: “Per noi aiutare chi ha bisogno non è un gesto buonista, di ingenuo altruismo o, peggio ancora, di convenienza: è l’essenza stessa della nostra fede. Ci addolora e ci sconcerta la superficiale e ripetitiva retorica con la quale ormai da mesi si affronta il tema delle migrazioni globali, perdendo di vista che dietro i flussi, gli sbarchi e le statistiche ci sono uomini, donne e bambini ai quali sono negati fondamentali diritti umani: nei paesi da cui scappano, così come nei Paesi in cui transitano, come in Libia, finiscono nei campi di detenzione dove si fatica a sopravvivere. Additarli come una minaccia al nostro benessere, definirli come potenziali criminali o approfittatori della nostra accoglienza tradisce la storia degli immigrati – anche italiani – che invece hanno contribuito alla crescita economica, sociale e culturale di tanti paesi”.
Qual è dunque il nostro compito di cristiani, in questo momento e in questa società?
Anzitutto, non possiamo rassegnarci a questa situazione subendola con passività e impotenza, tantomeno possiamo accarezzare nostalgie venate di rammarico per un passato che non c’è più.
“Lo Spirito del Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi”. Anche oggi, nella storia del nostro mondo, opera Gesù, il crocifisso risorto: ha dato la vita per tutti gli uomini e per tutti i popoli; è risorto per dare inizio al regno del Padre, regno di amore, di giustizia e di pace. Animati dal suo Spirito, siamo chiamati ad essere cristiani autentici, a risvegliare la nostra fede, a testimoniare l’amore nei gesti concreti della vita.
Il profondo e vivo legame con Gesù ci porta a servire e donare la vita nel mondo. Amati, per amare; consolati, per consolare; salvati, per salvare.
Non temiamo di essere minoranza; temiamo piuttosto di essere senza identità, senza qualità: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente”.
Evitiamo il devozionalismo, non chiudiamoci in sacrestia e nel solo servizio dentro la chiesa.
Se comprendiamo e viviamo il nostro impegno sociale come parte della nuova evangelizzazione, allora si aprono davanti a noi tante strade, tante possibilità concrete e feconde.
Cosa possiamo fare, come comunità cristiane, per essere segno di speranza nella società?
Parliamoci, ascoltiamoci, discutiamo, magari animatamente, ma sempre nel rispetto di tutti; affrontiamo questi argomenti nei Consigli pastorali, negli incontri dei giovani e degli adulti. Smettere di discutere, per paura di dividerci, ci ha portato a mura di silenzi nelle parrocchie.
Reagiamo al clima di solitudine e di chiusura dando valore alle relazioni dirette, agli incontri tra persone e tra gruppi. Favoriamo ogni possibilità di festa e di vita fraterna; a partire dalla eucarestia domenicale promuoviamo esperienze autentiche di incontro, di accoglienza e di vicinanza non formale, esperienze capaci di riattivare un buon tessuto di vita sociale. Questa attenzione a percorsi di vita sociale può, a sua volta, risvegliare la vita pastorale delle comunità.
Non acconsentiamo a logiche di scontro, di esclusione, di emarginazione: l’obiettivo del nostro impegno è di costruire una società migliore per tutti, nessuno escluso. Quando un povero bussa alla nostra porta, italiano o straniero, non possiamo chiudere gli occhi e il cuore. Non possiamo escludere gli stranieri e i profughi; certo, vanno promosse a tutti i livelli politiche capaci di gestire nella legalità un fenomeno tanto complesso, ma non sposiamo logiche e comportamenti che non rispettano la dignità dell’uomo.
Poniamo in atto gesti concreti, iniziative anche piccole ma praticabili, secondo le indicazioni del Papa: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Nella nostra Diocesi ci sono tante esperienze valide, a cui possiamo attingere per metterci in rete e per aiutarci a vicenda.
Riscopriamo una positiva collaborazione tra le associazioni, i gruppi e i movimenti (ecclesiali, culturali e civili) e le nostre comunità locali, sia parrocchiali sia zonali; è il momento di unirci e di collaborare.
In queste iniziative verso i più poveri, stiamo attenti a non dipendere dai fondi e dal sostegno degli enti pubblici; molto meglio quando le nostre iniziative e le opere che promuoviamo sono il frutto del dono e dell’impegno generoso della comunità sul territorio.
Riguardo al “Decreto Sicurezza”, ecco un passo della recente lettera delle Caritas dell’EmiliaRomagna: “Confermiamo il parere negativo riguardo a questa legge, perché concretizza un atteggiamento vessatorio nei confronti di persone a cui si imputa il torto di essere straniere e povere, le quali saranno condannate a maggiore precarietà e marginalità, a danno di tutta la cittadinanza”.
Intendiamo favorire la formazione, la partecipazione e l’impegno di tanti nella vita pubblica ed anche nel mondo della politica. Aiutiamo queste persone perché il loro sia un vero servizio al bene comune; la politica è una forma alta di carità e di servizio agli altri.
Abbiamo un tesoro tanto prezioso quanto ancora sottovalutato: la Dottrina Sociale della Chiesa. È tempo di riscoprirne il grande valore di guida e di direzione, favorendone la conoscenza e l’approfondimento, anche su argomenti specifici.
In conclusione, ascoltiamo il monito del Concilio Ecumenico Vaticano II: “Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna”! Ecco l’invito, ecco la chiamata che oggi interpella tutti noi. Rimettiamoci in cammino, guidati dal Vangelo, per costruire nella società opere di pace, di amore e di giustizia, facendoci carico di ogni fragilità, a fianco di ogni uomo di buona volontà.
Ufficio Diocesano per la Pastorale Sociale