“A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”.
Inizia con queste parole l’appello che don Luigi Sturzo e la commissione provvisoria del Partito popolare, riuniti in una stanza dell’albergo Santa Chiara di Roma, a pochi passi dal Pantheon, rivolgono a tutti gli italiani il 18 gennaio 1919. Precedute da una serie di riunioni preparatorie tra novembre e dicembre, in via dell’Umiltà 36 dove la Direzione del Ppi ha la sua prima sede, la diffusione dell’appello e la nascita di un partito chiaramente ispirato “ai saldi principii del Cristianesimo”, ma autonomo e non confessionale, segnano l’inizio di una nuova stagione dell’impegno dei cattolici italiani nella vita politica del Paese. È la fine del non expedit, il divieto di partecipare alla politica nazionale che, pur variamente modulato negli anni, aveva rappresentato una forma di reazione e di protesta rispetto ai fatti della cosiddetta “presa di Roma”.
L’appello – si era all’indomani della fine della prima guerra mondiale – dedica la sua prima parte alla politica internazionale e al ruolo della Società delle Nazioni, l’antenata dell’Onu.
“È imprescindibile dovere di sane democrazie e di governi popolari – si legge tra l’altro nel testo – trovare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali e le perenni ragioni del pacifico progresso della società. Perciò sosteniamo il programma politico-morale patrimonio delle genti cristiane (…) come elemento fondamentale del futuro assetto mondiale, e rigettiamo gli imperialismi che creano i popoli dominatori e maturano le violente riscosse: perciò domandiamo che la Società delle Nazioni riconosca le giuste aspirazioni nazionali, affretti l’avvento del disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati, attui la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, la uguaglianza del lavoro, le libertà religiose contro ogni oppressione di setta, abbia la forza della sanzione e i mezzi per la tutela dei diritti dei popoli deboli contro le tendenze sopraffatrici dei forti”.
In evidenza anche i temi istituzionali. “Ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale – afferma l’appello – vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i Comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private”.
E perché lo Stato sia la più sincera espressione del volere popolare, domandiamo la riforma dell’istituto parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto delle donne, e il Senato elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali: vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione, invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, l’autonomia comunale, la riforma degli enti provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali”.
Ma queste riforme sarebbero “vane”, sottolinea l’appello “se non reclamassimo, come anima della nuova società, il vero senso di libertà, rispondente alla maturità civile del nostro popolo e al più alto sviluppo delle sue energie: libertà religiosa, non solo agl’individui ma anche alla Chiesa, per la esplicazione della sua missione spirituale nel mondo; libertà di insegnamento, senza monopoli statali; libertà alle organizzazioni di classe, senza preferenze e privilegi di parte; libertà comunale e locale secondo le gloriose tradizioni italiche”.
Un ideale di libertà che “non tende a disorganizzare lo Stato ma è essenzialmente organico nel rinnovamento delle energie e delle attività, che debbono trovare al centro la coordinazione, la valorizzazione, la difesa e lo sviluppo progressivo”.
Ben chiari anche gli obiettivi in materia economico-sociale. “Le necessarie e urgenti riforme nel campo della previdenza e della assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà – afferma ancora l’appello – devono tendere alla elevazione delle classi lavoratrici, mentre l’incremento delle forze economiche del Paese, l’aumento della produzione, la salda ed equa sistemazione dei regimi doganali, la riforma tributaria, lo sviluppo della marina mercantile, la soluzione del problema del Mezzogiorno, la colonizzazione interna del latifondo, la riorganizzazione scolastica e la lotta contro l’analfabetismo varranno a far superare la crisi del dopo-guerra”.
(a cura di Stefano De Martis)