Alcuni giorni fa Nathaniel, un sedicenne con sindrome di Down, è stato ucciso in Sudafrica a colpi di arma da fuoco dalla polizia mentre andava a comperare dei biscotti. Pochi giorni dopo la notizia che a Salt Lake City, capitale dello Utah (Usa), Linden, 13 anni, con disturbo dello spettro autistico, è ricoverato in gravi condizioni in ospedale dopo essere stato ripetutamente colpito dalle armi della polizia locale chiamata dalla madre perché il ragazzo, in preda ad una crisi, urlava a squarciagola.
Dopo avere intimato più volte all’adolescente di sdraiarsi a terra gli agenti hanno aperto il fuoco. In Italia, il brutale omicidio del giovane Willy Monteiro, sabato notte a Colleferro (Roma). Il ragazzo, intervenuto per sedare una lite, è stato ucciso a calci e pugni da quattro giovani. Tre storie e contesti diversi ma con un unico fil rouge: una violenza vile e insensata contro tre vittime innocenti, pacifiche e inermi.
Ne parliamo con Stefano Vicari, responsabile Unità operativa complessa di neuropsichiatria infantile dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.
“Oggi nell’aria si respira un clima di violenza dilagante”, esordisce l’esperto, premettendo che l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia Usa sta da tempo monopolizzando l’attenzione dei media; questo è solo l’ultimo di una serie di avvenimenti. “Una violenza gratuita che rivela un’assoluta mancanza di sensibilità ed empatia”.
Con riferimento all’episodio dell’Utah, spiega: “Spesso pensiamo alla persona autistica come ad un soggetto poco empatico, incapace di entrare in relazione con qualcuno, sottovalutando quanto la mancanza di empatia sia invece un aspetto diffuso all’interno dei nostri contesti sociali”. Per Vicari, “il sentimento di violenza che coinvolge una larga fetta di popolazione è in parte legato al non cogliere le emozioni altrui; non siamo più educati a capire ciò che attraversa chi abbiamo di fronte”.
A questo si aggiunge il tema della scarsa conoscenza: “I poliziotti colpevoli di questi crimini inauditi negli Usa e in Sudafrica probabilmente non sanno che cosa sia l’autismo, e forse neanche la sindrome Down.
Intorno alla disabilità e ai disturbi mentali ruotano ancora troppi pregiudizi: questi malati vengono da molti considerati strani, al limite del mostruoso”. E questo, secondo lo psichiatra, dovrebbe indurci ad una duplice riflessione: “ Da un lato le forze dell’ordine dovrebbero essere formate e qualificate per comunicare e interagire con le persone con disabilità o disturbo mentale; dall’altro dovremmo tutti chiederci come ci educhiamo alla tolleranza e alla convivenza con il diverso. Le persone con disturbo mentale sono fino al 20% della popolazione: non possiamo far finta che non esistano, aggredirle o confinarle”.
“L’elemento che accomuna Sudafrica, Stati Uniti e Colleferro – prosegue – è la paura di accogliere la diversità, espressa nelle sue forme più estreme e violente. Un discorso antropologico che ai nostri giorni si pone con gran forza”. Sull’omicidio di Willy viene avanzata l’ipotesi investigativa anche di una componente razziale. “Sì – replica lo psichiatra – Willy è ‘diverso’, ma la sua diversità non è il colore della pelle, bensì la diversità coraggiosa e sorprendente di un ragazzo inerme che, a fronte di una gratuità non richiesta, segue l’impulso di aiutare un amico in difficoltà, senza valutare le conseguenze del suo gesto. Un elemento che in qualche modo ci dà speranza perché di fronte all’esplosione di una violenza brutale si manifesta il coraggio dell’ultimo.
Quello che ci salva, che ci restituisce umanità e dignità di persone è proprio il gesto di Willy che è intervenuto senza girarsi dall’altra parte. Della natura umana fanno parte entrambi gli aspetti: quello bestiale e quello della generosità verso l’altro fino al sacrificio della propria vita.
Willy ci fa immaginare che un modo diverso di vivere le relazioni è possibile”.
Tuttavia, secondo Vicari, questa vicenda non può essere catalogata come evento unico, isolato, confinato a quel contesto specifico. Purtroppo atti simili non sono rari e “ tutti ne siamo in qualche modo responsabili. Questi teppisti erano già noti per i loro comportamenti violenti, eppure erano liberi di scorrazzare… E non sono degli emarginati in estreme periferie. La loro povertà non è economica, ma umana e spirituale”.
Perché parla di responsabilità collettiva?
“Perché educare al bene e al bello è compito di tutti noi: dei genitori, della scuola, della Chiesa, delle associazioni; agenzie educative che non funzionano più o molto poco. Questo è un monito a riscoprire il senso di responsabilità e del dovere, mentre il nostro mondo è troppo individualista e pronto a pretendere diritti dimenticando che ad ogni diritto corrisponde un dovere. Ognuno di noi ha responsabilità nei confronti degli altri: come società civile dovremmo riprendere a educare i nostri bambini fin dai primissimi anni a relazioni autentiche fatte di rispetto, responsabilità, accoglienza degli altri e osservanza delle regole. Solo così si può imparare a controllare impulsi e reazioni bestiali. L’assenza di modelli educativi positivi produce povertà umana; al contrario una figura come quella di Willy, che ideali e valori positivi li aveva dentro di sé, e non si è girato dall’altra parte di fronte ad una persona in difficoltà, dimostra quanto bene può fare un contesto educativo (famiglia, parrocchia, associazioni, in questo caso l’Azione cattolica) che funziona”.
Giovanna Pasqualin Traversa