Gli auguri del Vescovo
Di recente don Luigi Ciotti ha dichiarato che “ oggi a fare la differenza è l’indifferenza”. Amara, amarissima verità. È l’indifferenza inoculata come un veleno nei gangli vitali del nostro vivere, che porta al gelo dei cuori, produce la desertificazione delle relazioni, conduce all’azzeramento della capacità di sfidare crisi e difficoltà, di far fronte ad urgenze ed emergenze. E spinge all’isolamento di individui ingabbiati in un ‘io’ sempre più infelice, perché ripiegato, isolato, inquieto.
Mi domando: ma a che cosa si deve il contagio del micidiale virus dell’indifferenza? Una indifferenza stratificata, a falde, come una nebbia fredda e bieca di fronte ai drammi di miliardi di povera gente. In effetti non è poi vero che noi i poveri non li vediamo. Il problema vero è che non li sentiamo. E non ci lasciamo raggiungere dal loro grido, semplicemente perché ci siamo protetti con i ‘doppi vetri’. Ecco un’angosciante carovana di poveri che pure vediamo, ma non ne percepiamo le urla di rabbia incontenibile e di implacabile dolore.
A Rimini una decina di anni fa c’erano 967 persone che vivevano in strada. Oggi sono molti di più.
“ Finalmente ho un lavoro – grida Alberto – ma non riesco a trovare una casa in affitto. Sono mesi che cerco, ma sembra quasi che non esistano!”.
Eppure di appartamenti sfitti, solo a Rimini, se ne contano a migliaia.
Oltre la piaga dei senza-tetto, c’è anche quella delle difficoltà lavorative, nella misura in cui le persone riescono a trovare un lavoro, questo spesso è in grigio, cioè con contratti che segnalano molte meno ore rispetto a quelle effettive. Ci sono situazioni di sfruttamento e svariati casi di persone che a fine mese non hanno percepito lo stipendio o ne hanno percepito uno da fame.
“ Sono arrivata qui perché ho la schiena a pezzi”, piange Rita, a un Centro di ascolto della Caritas diocesana. “ È vero: sono sola, non ho una casa, e il lavoro con vitto e alloggio era la soluzione, ma a quelle condizioni non ce l’ho fatta. Non ce l’ho fatta più!”.
Dovrei ancora parlare del grido di tanti immigrati.
E delle tante prostitute, che continuiamo a chiamare così, con questa locuzione ipocrita, mentre le dovremmo chiamare ‘prostituite” (da chi? e perché? e per chi?!). Il grido dei carcerati, visto che non riusciamo ancora a “ far diventare inutile il carcere di Stato” (don Oreste Benzi).
E ancora: il grido di dolore di vari giovani, che avvertono in sé il vuoto e la “inquietudine della propria voragine”. Registro una domanda, non mia, ma apparsa sul Corrriere della Sera in un editoriale di Antonio Polito: “ Il nostro tempo, così inquieto, dovrebbe essere il più adatto alla promessa di vita eterna: perché la Chiesa non fa breccia?”. Ma per fare breccia, anche la Chiesa deve prendere a martellate vari ‘doppi vetri’.
di monsignor Francesco Lambiasi