“Quest’anno a S. Agostino abbiamo deciso di non fare il Presepe”, trovo scritto in un articoletto del V “Notiziario della Comunità parrocchiale di S. Agostino” del 1971. Presumo che sia del parroco (il non dimenticato don Sisto), che precisava superfluo fare il presepio perchè nella chiesa c’era già, sul secondo altare di sinistra, raffigurato in una grande tela che andava assolutamente valorizzata “per incentrare l’azione liturgica su quelle parti del tempio che più da vicino ci ricordano questo periodo”.
È vero, la raffigurazione del presepio a Sant’Agostino c’è, ed è esposta in tutti i periodi dell’anno: si tratta di una pala d’altare di grandi dimensioni, eppure trascurata tanto dai fedeli quanto dai visitatori occasionali e dalle guide della città, e ammirata soprattutto per la sua cornice: un imponente capolavoro dorato di intaglio barocco che risalta su un bel “pannarone” sostenuto dagli angeli (che è opera di Giuseppe Marchesi detto il Sansone). Il fatto è che la pala ha un limitato valore d’arte, perchè si tratta di una modesta copia ottocentesca di un pittore oscuro, tal Fanelli (ne ignoro il nome), da un dipinto di Jacopo Palma il giovane, il grande pittore veneziano che all’inizio del Seicento ha lasciato a Rimini anche un altro capolavoro, una Deposizione, già nella chiesa dei Cappuccini e ora alla Colonnella.
La copia è modesta, ma ci conserva fedelmente (credo) l’idea della composizione originale, tutta sviluppata in verticale, su due piani: nella metà superiore raffigura la sacra famiglia con tre pastori che adorano il Bambino e due angioletti che aprono le nubi da cui discende la luce; nella metà inferiore compaiono due pastori che offrono un canestro con dei pani e, in primo piano, un personaggio estraneo alla scena, un anziano santo vescovo che è lì a rappresentare tutta la comunità monastica e parrocchiale, senza dubbio sant’Agostino. La composizione è chiaramente ispirata al Tintoretto, ed è interessante perchè sapientemente ordinata su linee che conducono tutte verso il Bambin Gesù, la cui centralità è messa in evidenza dalla luce e dal panno bianco su cui è disteso. Purtroppo i colori sono scuri, fumosi e a fatica ci permettono di immaginare quelli dell’opera originale, che dovevano essere splendidi, scintillanti, efficaci e profondi nel battito della luce che in primo piano aveva permesso al pittore di creare un sorprendente personaggio in controluce.
Dove sarà finito l’originale di questo quadro? Federico Zeri mi diceva di sapere che è in America, anzi nell’America del Sud, ma non volle o non trovò mai l’occasione di specificare meglio. Era rimasto al suo posto, al centro della chiesa, fino all’invasione napoleonica. Forse per evitarne la requisizione la famiglia Zangari, che aveva l’jus patronato dell’altare, ne rivendicò la proprietà e se lo portò via, lasciando al suo posto questa copia. Girava voce che fosse stato donato al vescovo Vincenzo dei conti Ferretti (il vescovo degli anni terribili dell’invasione francese), che l’avrebbe nascosto ad Ancona presso la sua famiglia; ma si trattava di una voce infondata, perchè nel 1864 Luigi Tonini scriveva ad un suo corrispondente che il quadro era ancora a Rimini in casa Zangari, “poiché credo non abbiano trovato di venderlo come si erano figurati”.
Speriamo esista ancora, da qualche parte, perchè offre una bella interpretazione della natività di Gesù, e racconta l’accoglienza generosa che le ha fatto la gente umile del suo tempo (come dimostra l’accalcarsi dei pastori intorno al Bambino) e la sorpresa e la meraviglia degli uomini colti di tutti i tempi (come dimostra l’estatico sant’Agostino). La copia è scadente, ma documenta ancora bene l’attenzione degli Agostiniani riminesi per questo mistero fondamentale della nostra fede che ha aperto agli uomini di buona volontà l’orizzonte della salvezza, e documenta l’esistenza a Rimini di un capolavoro veneziano molto significativo.
Pier Giorgio Pasini