Al Maggio Musicale Fiorentino Idomeneo di Mozart, proposto sul palcoscenico di Pistoia, quest’anno capitale italiana della cultura
PISTOIA, 30 aprile 2017 – Con Idomeneo s’inaugura una nuova era. Questo capolavoro non rappresenta solo una svolta radicale del percorso mozartiano, ma segna – nel 1781 – il definitivo affrancamento dell’opera seria dai retaggi del barocco, in favore di un’inedita concezione drammatica. Come non era forse mai avvenuto prima d’ora, l’abate Giambattista Varesco – per scrivere un libretto incentrato sul solito soggetto eroico, non privo di risvolti aulici – lavorò in strettissima collaborazione con il ventiquattrenne Mozart: una prassi, di certo, all’epoca inconsueta, ma premessa indispensabile per la genesi di un capolavoro musicale.
L’opera è andata in scena durante il Maggio Musicale Fiorentino, insolitamente, sul palcoscenico del Teatro Manzoni di Pistoia: prima trasferta in ottanta edizioni del decano tra i festival italiani, giustificata dal fatto che quest’anno la città toscana è stata insignita del titolo di capitale della cultura. Peccato, tuttavia, per un’esecuzione nell’insieme deludente. Nel disomogeneo cast, infatti, più di un interprete non era all’altezza dell’impegnativo compito. Molto debole, come Idomeneo, proprio il tenore Michael Schade, che dava l’idea di una totale estraneità al canto mozartiano. Problemi d’intonazione, di appiombo ritmico e modo di accentare le parole nei recitativi – nel vano tentativo di dar loro un senso – incongruo e grottesco; particolarmente fastidiose, poi, certe interiezioni parlate non presenti in partitura. Sicura ed espressiva, anche se con poco volume nella zona grave, la giovane Rachel Kelly è apparsa invece credibile nei panni en travesti d’Idamante, grazie a un fisico esile e androgino. Sottodimensionata sul piano vocale la Ilia di Ekaterina Sadovnikova, seppure nell’insieme corretta. Il soprano Carmela Remigio si è misurata con il difficile ruolo di Elettra, che ha caratterizzato più sul fronte scenico che musicale, trovandosi un po’ in affanno nelle tremende colorature dell’aria D’Oreste, d’Ajace. Gli altri due tenori erano Mirko Guadagnini, un apprezzabile sacerdote di Nettuno, e Leonardo Cortellazzi come Arbace: pur senza una delle sue due arie, apparso ben consapevole di ciò che cantava. Alla guida dell’Orchestra e del Coro del Maggio, Gianluca Capuano ha fatto scivolare un po’ in secondo piano le intenzioni interpretative, preoccupato soprattutto di limitare i danni della compagnia di canto e riuscendo, apprezzabilmente, a riagganciare i solisti quando andavano fuori tempo.
Neppure dalla regia, però, è venuto un grande aiuto a illuminare la grandezza di quest’opera. Lo spettacolo di Damiano Michieletto, nato quattro anni fa per il viennese Theater an der Wien (e qui ripreso da Eleonora Gravagnola), parte molto bene: durante l’ouverture, sul sipario chiuso, viene proiettato un filmato in bianco e nero dove Idomeneo fa indossare abiti da adulto al piccolo Idamante. Mentre il re di Creta sarà impegnato nella guerra di Troia, del resto, il figlio lo sostituirà nel governo dell’isola. La lettura di Michieletto ruota attorno ai rapporti conflittuali padre-figlio adombrati, però, più che in Idomeneo, nella biografia mozartiana: nel legame fra il musicista e il suo ingombrante genitore. Ma, dopo il felice esordio, è tutto un succedersi di luoghi comuni, appartenenti a un immaginario ricorrente soprattutto negli spettacoli di area tedesca, ogni volta che si avvertono echi di guerra. Il talento del bravissimo scenografo Paolo Fantin viene così impiegato per creare solo una tetra spiaggia dove, nella sabbia scura, si trovano disseminate innumerevoli paia di scarpe. La principessa troiana Ilia si presenta come una delle tante migranti appena scesa da un barcone: è visibilmente incinta e – a dissipare ogni dubbio – ci pensa la proiezione dell’ecografia di un feto. Anche l’epilogo lieto previsto dal libretto, con il trionfo di Idomeneo, viene alterato: il re muore, però – durante l’apoteosi finale – Ilia, assistita da Idamante e Arbace (trasformato in levatrice), dà alla luce un bambino, offrendo comunque un messaggio di speranza. Più difficile far rientrare in questa scacchiera il personaggio di Elettra, figlia di Agamennone e rivale di Ilia. Per lei la regia concepisce un ruolo da maliarda che, incurante delle tragiche condizioni dei cretesi, è dedita a un dispendioso défilé. Così la costumista Paola Teti, dopo gli abiti laceri degli altri personaggi, si sfoga ideando una serie di mise volgarissime nella loro lussuosa ostentazione. Non manca una strizzatina d’occhio alla psicanalisi: dopo l’ennesimo rifiuto da parte di Idamante, la principessa tenta – evocando forse il complesso di Elettra, da contrapporre a quello di Edipo – di sedurre un disinteressato Idomeneo per ottenere la sua collaborazione e spingerlo all’uccisione del figlio. Quando infine prende atto della sua totale sconfitta, si toglie i vestiti e pure la parrucca (una citazione del teatralissimo finale del Roberto Devereux con la regia di Christof Loy?) per precipitare in un fango per nulla metaforico.
Michieletto insomma confeziona uno spettacolo che rispetta i cliché e la visualità delle cosiddette “regie alla tedesca”. Si resta con il dubbio, visto che in Austria questo Idomeneo ha ottenuto un prestigioso premio, di scelte concepite nell’intento di una smaccata captatio benevolentiae.
Giulia Vannoni