“Non ti alzi fino a quando non hai finito i compiti!” Oppure “non esci fino a quando non hai finito i compiti!” A tanti sarà capitato di dire o sentirsi dire queste frasi. Il dato certo è che oltre il 97% degli studenti ha sempre o quasi sempre compiti per casa, anche per oltre 2 ore. Compiti che vengono svolti perlopiù con la madre (74%) e poco col padre (26%), ma quasi mai con i compagni/amici/coetanei, solo il 2% (dati Istat 2011). Il dibattito sui compiti a casa coinvolge ampie schiere di genitori e insegnanti, senza tralasciare gli sventurati studenti, perno del contendere. Le scuole di pensiero sono essenzialmente due: chi li giudica inutili e chi, invece, li ritiene insostituibili.
Recentemente, a Riccione, si è tenuto un incontro sul tema dal titolo A cosa servono i compiti a casa?
Un’ampia platea ha ascoltato con interesse gli interventi dei relatori partecipanti. Ad aprire la serata un simpatico video visibile su You Tube dal titolo «Intervista doppia sui compiti a casa» dove due insegnanti di opinione opposta rispondono alle domande dei bambini.
“Tanti di noi hanno in soffitta, o da qualche altra parte, una vecchia macchina da scrivere, non la utilizziamo più, ha fatto il suo tempo – esordisce il professor Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia interculturale dell’Università Bicocca di Milano – forse è così anche per la scuola, è vecchia, ha fatto il suo tempo, chiudiamola! Siamo nel primo momento storico in cui la sua funzione non è più ovvia”.
Quali sono le sfide della scuola oggi?
“Innanzitutto non credo debba essere chiusa, la mia era una provocazione. Bisogna ricordare, però, qual è l’insostituibilità della scuola, cosa dà di diverso da altre esperienze. La risposta è la socializzazione dell’apprendimento. La scuola è una palestra di democrazia. La sfida è enorme, ma importante da cogliere. A scuola i ragazzi non devono essere messi in competizione o in graduatorie, la scuola non può assumere funzione di selezione sociale”.
Spesso i genitori si lamentano che i figli apprendono poco a scuola, da cosa deriva questa opinione secondo lei?
“Mai come oggi ci lamentiamo che i bambini non imparano abbastanza pur trascorrendo tutta la loro giornata a scuola. La mia risposta è educare meno, educare tutti! Non capisco perché un bambino di 4 anni debba stare dalle 7 alle 17 a scuola: trascorre a scuola più di quanto i suoi genitori stiano sul posto di lavoro, è un paradosso! Il problema non è il genitore che lavora, padre o madre, il problema è sociale. Liberiamo i bambini dal peso degli adulti! La scuola deve fare una dieta dimagrante, meno ore in classe, ma più intense”.
Gli agognati compiti per casa servono davvero?
“Sono utili quando sono un lavoro autonomo di rielaborazione del lavoro collettivo svolto in classe. Un momento in cui il bambino o il ragazzo riflette su ciò che ha imparato e aggiunge le proprie idee, sensazioni, opinioni. Tutto questo sarà poi portato in classe il giorno dopo per arricchire tutti. Invece spesso i compiti sono parte di programma in corso, qualcosa per portarsi avanti sui lavori. E la loro mole non deve essere eccesiva. C’è poi un altro paradosso, quello della privatizzazione del sapere”.
Che cosa intende?
“Intendo che tantissima didattica si fa o si dovrebbe fare in gruppo, ma poi nel momento del raccolto, cioè esami, interrogazioni e compiti in classe, ognuno ha la propria sorte. Si ha quasi paura di sapere meno se si sa in gruppo. Il dato negativo è anche che il 2% di bambini/ragazzi fa i compiti con coetanei. Non si condivide questo momento. Quando poi sono i genitori a fare i compiti, quello è proprio l’apice dell’inutilità del lavoro a casa. Senza dimenticare che i più grandicelli cercano aiuto in Rete, basta digitare su di un motore di ricerca e appare di tutto”.
Quindi meno compiti in sostanza.
“Assolutamente sì, va bene la riflessione sul lavoro svolto a scuola, ma dopo 40 ore basta riflettere sulla… scuola! I compiti dovrebbero essere qualcosa di semplice come la ricerca di alcuni materiali o di spunti di riflessione. Non compiti di produzione o mero esercizio. Inoltre penso che i compiti a casa non debbano essere valutati con i voti. Questo perché la scuola non può valutare ciò che avviene fuori e di cui non conosce il percorso, si valuta ciò che viene fatto in classe”.
I dati che Istat, Save the children, Sanità e Miur hanno presentato nel 2012 mostrano ampie fette di popolazione minorile in povertà e con diseguali condizioni di accesso all’istruzione. Dall’altra parte ci sono persone che si lamentano (e addirittura ritirano i propri figli dalle scuole) di classi con numero elevato di alunni immigrati. Dove sta il giusto compromesso?
“Conoscere delle persone straniere fin da bambini è una grande opportunità, non solo per conoscere la loro cultura, ma anche per ragionare sulla nostra lingua. Quando bisogna spiegare a qualcuno il significato e le regole di una lingua si riflette su di essa. Questo è un privilegio che ai tempi in cui andavo io a scuola non avevamo”.
Melania Rinaldini