Adesso che il peggio è passato qualche aneddoto lo si può raccontare. Un’ora dopo il nubifragio maximo del 24 giugno, mi trovavo al sottopasso di via Galla Placidia alle Celle, completamente allagato come tanti altri sottopassi cittadini. Ad osservare la scena c’era un pensionato che continuava a dire: “È nuovo. Guarda lì. È nuovo”. Probabilmente aveva già seguito il cantiere del sottopasso con le mani dietro la schiena e il capo ciondolante in segno di perplessità. Mentre venivo informato che sotto l’acqua c’erano pure dei furgoni, a rendere ancora più surreale la scena è stato l’arrivo di alcuni ragazzi scesi da un’auto. Venivano da Bologna e dovevano raggiungere un noto ristorante di pesce a Marina Centro. Erano appena usciti dalla Statale intasata. “Non c’è un’altra strada?”, mi chiedono. La loro cena di pesce in quel momento era l’ultimo dei problemi che Rimini poteva avere, ma in ossequio al senso di ospitalità che non ci deve abbandonare in nessuna circostanza ho risposto cortesemente: “Se non avete un mezzo anfibio, temo che vi tocchi tornare sulla Statale. La città è mezza allagata”. Se ne sono fatti una ragione e sono ripartiti. Spero che la loro cena di pesce, seppure in ritardo, siano riusciti a consumarla.
Uno di loro, prima di salire in auto, si è girato di nuovo verso il sottopasso inondato e mi ha chiesto:“Ma come mai un lavoro così?”. Spiegare o non spiegare? Per amore della città, sono rimasto muto come un pesce.