Se Paolo di Tarso fosse direttore de il Ponte, sarebbe una pacchia per l’Ufficio abbonamenti. Sorridevo, fra me e me, ascoltando domenica la seconda lettura, dalla lettera ai Filippesi: “Prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri ed irreprensibili…”
Crescete nell’amore fino al discernimento di ciò che è giusto, perché possiate distinguere ciò che è bene da ciò che non lo è.
Se fosse nato oggi San Paolo direbbe: confrontate la vostra vita continuamente con il Vangelo. Ma se volete amarla davvero, come amate il Vangelo, dovete conoscerla, studiarla, informarvi, perché il giudizio su ciò che accade è difficile, perché viviamo tutti in una realtà complessa ed è compito nostro capire che cosa ci chiede oggi Gesù, il Vangelo, la sua Parola.
È questo, tra l’altro, uno dei motivi del grande impegno del Vescovo e della Diocesi sui media. Sono strumenti che ci aiutano ad avere più elementi per un giudizio, a crescere nella nostra sensibilità, nella capacità di analisi, per dare una lettura autonoma, libera di ciò che accade.
Ma quanto spazio hanno queste sensibilità nelle nostre comunità? Quanto è l’impegno per la cultura, la conoscenza, lo studio della realtà che ci circonda? Quanto i cristiani si informano sui temi della pace (e dunque della guerra), dell’ecologia, dei diritti, della giustizia sociale, dei problemi del Sud del mondo… ? Perché stupirsi se molti cristiani, che fanno anche la comunione, poi assumono, sui fatti che accadono, atteggiamenti, parole, giudizi che nulla hanno da condividere con il Vangelo?
La fede non ha nulla da dire sull’economia dell’esclusione, dello scarto, sull’idolatria del denaro, sulla sfida dell’incontro con culture e religioni diverse?
Una fede che non riflette, non si preoccupa di conoscere per “discernere” e più amare, è una fede disincarnata, dunque eretica, non evangelica.
Il Papa, per farcelo capire, è andato fino al centro dell’Africa ad aprire la Porta Santa, perché la misericordia non è un “fioretto” (mi perdoni san Francesco l’uso improprio del termine), ma un segno di contraddizione.
Domenica 13, alle 17, il vescovo Francesco aprirà in Cattedrale la prima “Porta Santa” riminese. La Porta, simbolo di Gesù, è il segno della comunione fra Dio e l’uomo, non una ”pia opera”. Il cristiano riminese è chiamato a portare attraverso quella porta santa la sua vita e la vita della sua città, l’umanità ferita e sofferente, con le sue contraddizioni, le domande, i peccati, il desiderio del bene, che vive in ogni persona.
Giovanni Tonelli