È appena uscito fresco di stampa il quarto e ultimo volume della Storia della Chiesa riminese, pubblicato con la consueta cura da Pazzini editore-stampatore di Verucchio e dal riminese Guaraldi: si conclude una ricerca che ha impegnato diverse decine di ricercatori per circa sette anni, con l’ausilio di un operoso staff di coordinatori editoriali. Una ventina gli studiosi che hanno contribuito a questo quarto volume, curato dal prof. Piergiorgio Grassi. Il quale, in questa intervista, spiega il filo rosso di tale operazione.
Una vera impresa.
“Ritengo che non siano molte le diocesi italiane che hanno una storia delle proprie vicende così dettagliata, a partire dalla comunità cristiana esistente alla fine del IV secolo. Complessivamente sono state scritte più di duemila pagine. Il volume appena uscito copre un arco di tempo che va dalla restaurazione dello Stato Pontificio sino ai nostri giorni. Si tratta di duecento anni segnati da eventi che hanno visto società e Chiesa riminese inseriti sempre più in una dimensione nazionale e internazionale. Non si può oggi fare storia locale prescindendo da questo amplissimo contesto. Per quanto riguarda la nostra Chiesa, le decisioni della Conferenza episcopale italiana o ciò che accade nelle Chiese di altri paesi, sono rilevanti per molti aspetti. Si vive nel locale, ma si respira e si pensa nel globale. Tutto ciò incide ovviamente sul modo di concepire e di scrivere la storia civile e religiosa”.
Lei scrive, nella Introduzione, che la Chiesa riminese ha dovuto affrontare molte sfide…
“Non c‘è stato periodo storico esaminato in cui la Chiesa non abbia dovuto affrontare questioni serie, interne ed esterne ad essa, di fronte all’avanzare di una modernità che appariva nettamente ostile. Si pensi al tentativo, dopo la sua caduta dello Stato pontificio, di trovare un nuovo modo di essere, sfociato nonostante l’opposizione intransigente allo Stato liberale, nell’impegno nella società civile per arginare i primi processi di secolarizzazione. Nel giro di qualche decennio la Chiesa riminese, sotto la guida di pastori avveduti ed energici (penso ad esempio all’episcopato breve, ma estremamente efficace, di mons. Gaetano Battaglini) ha costruito un complesso di iniziative sociali, culturali, professionali che le ha permesso di mantenere un forte radicamento sociale. Si pensi al ventennio che l’ha vista entrare in competizione con lo Stato fascista per l’educazione dei giovani o il periodo della II guerra mondiale in cui la Chiesa (preti e laici insieme) si è fatta presente alla gente comune stretta tra i bombardamenti alleati e la tenace resistenza tedesca sulla Linea Gotica. Non solo prestando aiuto ad una popolazione stremata dalla guerra e dalla miseria, ma diventando di fatto una guida che si sostituiva al dissolversi delle istituzioni politiche, prive ormai di legittimazione”.
È questo che spiega allora il peso accresciuto della Chiesa nella società riminese che, uscendo faticosamente dagli anni bui della guerra, si apprestava alla ricostruzione, premessa del boom economico anche nel nostro territorio, propiziato dall’avvento del turismo di massa e dalla nascita di un sistema di piccole e medie aziende…
“La stagione dell’immediato secondo dopoguerra vede sorgere dal seno della Chiesa riminese tutta una serie di iniziative culturali, sociali e politiche: dalle ACLI alla CISL, ai Coltivatori diretti, all’Associazione dei maestri cattolici, alla stessa Democrazia cristiana. Sono realtà fondate da uomini e donne che erano stati educati all’impegno nelle parrocchie, attraverso soprattutto le sezioni dell’Azione cattolica, in grande espansione sino agli anni Settanta. Un’altra grande sfida è stata la recezione del Concilio Vaticano II, che dava un forte impulso alla partecipazione di preti e laici alla pastorale diocesana, con l’istituzione del consiglio Presbiterale e del Consiglio pastorale, (entrambi tra i primi in Italia come data di nascita), con l’organizzazione di assemblee diocesane su temi specifici. Il motivo costante che accompagna la vita della Chiesa è stato l’impegno alla formazione delle coscienze e alla testimonianza evangelica nei diversi ambienti di vita. Per queste ragioni una cura particolare è stata riservata al Seminario, alle associazioni, ai movimenti, che si sono moltiplicati dopo il Concilio. Si è presto avvertito che stava nascendo una realtà sempre più pluralistica, che avanzava un tipo di società in cui il fattore cristiano non era più l’unico riferimento della società civile”.
E che cosa è accaduto da questa presa di coscienza? C’erano tutte le condizioni perché si marcasse l’identità e si considerasse il mondo come inguaribilmente ostile e perduto…
“Si può dire che i vescovi del Concilio e del dopoConcilio (da mons. Biancheri, a mons. Locatelli, a mons. De Nicolò e a mons. Lambiasi) hanno profuso energie perché la comunità cristiana riminese diventasse da comunità di praticanti a comunità di evangelizzati e di evangelizzatori, ripensando le strutture e l’azione pastorale, in sintonia con quanto veniva elaborato dalla Conferenza episcopale italiana e con i risultati dei Convegni ecclesiali. Ultimo, quello tenutosi nell’ottobre scorso a Firenze sul tema In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. La ricostruzione storica mostra una Chiesa viva in un contesto sociale che nel frattempo è ulteriormente mutato: si è allargato il numero di coloro che non praticano o praticano saltuariamente, di coloro che aderiscono selettivamente alle credenze fondamentali, di coloro che non si dicono più credenti. Inoltre si sono rese visibili presenze religiose nuove. Con l’afflusso continuo di immigrati (il 10% della popolazione totale) si sono stabiliti nel territorio riminese gruppi consistenti di islamici, di fedeli della Chiesa ortodossa, di evangelici e di appartenenti ad altre confessioni religiose. La dimensione ecumenica e quella del dialogo interreligioso stanno acquisendo una centralità impensabile un tempo. La Chiesa non intende chiudersi in se stessa e attardarsi sul già fatto, in preda a nostalgia regressiva. È nella storia degli uomini e intende continuare ad annunciare la gioia del Vangelo e a lavorare con tutti gli uomini e le donne di buona volontà per rendere più accogliente e fraterna la convivenza nella nostra terra”.
a cura di Paolo Guiducci