Basta un niente. Una distrazione, uno sbaglio, una svista. E improvvisamente si perde la vita. Capita per un disgraziato che ci investe sulle striscie pedonali, perdendo l’equilibrio su un’impalcatura o scivolando sul bagnato. Alla radio e alla tv è storia di tutti i giorni. Siamo sconcertati, turbati, commossi da certi fatti di cronaca per la loro drammatica e cruda realtà. Sappiamo che incredibili disgrazie vivono attorno a noi. Conosciamo il dolore che porteranno, le sofferenze e i lutti. Ma tutti i giorni nascono nuove vite e si continua a sperare. Perché la vita ci sorprende, sempre, ma ciò a cui forse non siamo ancora mentalmente o culturalmente preparati è di continuare ad essere “utili” anche dopo la morte. Lo siamo grazie alla donazione degli organi. Un argomento di cui in Italia si è iniziato a parlare 21 anni fa.
L’esempio del piccolo Nicholas. Tanti ne sono passati da quando Nicholas Green, il bambino statunitense di 7 anni colpito da un proiettile nel corso di un tentativo di rapina mentre si trovava in auto sulla Salerno-Reggio Calabria, moriva tragicamente. I genitori donarono i suoi organi che andarono a sette italiani, tra cui quattro adolescenti. Dal clamore suscitato da quella tragedia abbiamo imparato a considerare il valore della morte non come una fine assoluta della vita terrena, ma l’inizio di una nuova vita per molti.
Quando e come donare. Piano piano anche a Rimini, la donazione, è diventata possibile: dal 2000 al 2014 sono stati 102 i donatori, 291 gli organi trapiantati tra cui 24 cuori, 6 pancreas, 7 polmoni, 95 fegati e ben 157 reni. Organi che hanno ridato una speranza a decine e decine di persone.
“Numeri importanti – spiega il dottor Fabio Bruscoli, coordinatore trapianti di Rimini – che dimostrano come nella nostra provincia si inizi a capire l’importanza di questo grande dono. Ma non è facile. Quando si muore per cause accidentali o inaspettate e non vi sono malattie a carico del donatore, non sono molte le persone pronte a dare il consenso all’espianto. Questo avviene se nei familiari c’è una propensione, una disponibilità alla donazione. E comunque c’è sempre una sottile linea di speranza, ma quando si presenta una morte encefalica, diciamo che è più facile convincere i parenti a regalare la possibilità di una nuova vita a un’altra persona in attesa”.
Cosa significa essere donatori?
“Significa esercitare un atto nobilissimo che serve alla società, al ricevente, e alla famiglia del donatore stesso. Vediamo parenti affrontare la circostanza luttuosa con meno carico di dolore, diciamo che sono più sereni perché in coscienza sanno di aver fatto un gesto di grande valore umano”.
Si può dire dottore che ai parenti serva per affrontare meglio la scomparsa del proprio caro?
“Proprio così! È accaduto poco tempo fa con una giovane donna di 36 anni morta tragicamente…”.
Nonostante tutto di donazione si parla ancora poco. Secondo lei è una questione di cultura?
“In altri paesi sono più avanti. Le donazioni non hanno un livello standard, è una casistica molto altalenante che dipende da coincidenze e fattori concomitanti. Quest’anno l’attività è stata molto impegnativa. Il sistema organizzativo funziona dal momento in cui viene riconosciuta la morte cerebrale”.
A proposito, come si determina?
“Le faccio un esempio. Un malato è in Rianimazione perchè ha un trauma cranico o un’emorragia cerebrale ed è in coma.Improvvisamente peggiora, il suo cervello è distrutto in maniera completa e irreversibile. È attaccato alla vita tramite un respitatore e varie macchine, e sono queste che lo tengono caldo, iperfuso, con la pressione giusta: però fa tutto la macchina. Il paziente è come se fosse vivo, ma in realtà è già morto. Questi soggetti potrebbero essere donatori perché gli organi ricevono sangue e sono ossigenati,perciò funzionano. La morte conseguente alla morte encefalica può generare donatori di organi”.
Come si diventa donatori di organi?
“Da vivi, nella piena consapevolezza, la persona firma il consenso dichiarando l’intenzione di fare donazione all’atto del decesso. Così facendo i familiari avranno minori difficoltà perché si eseguono precise volontà”.
Praticamente come si fa?
“Attraverso una registrazione ufficiale al Sistema Informativo Trapianti del Ministero oppure tramite la nostra Azienda o presso l’Associazione Italiana Donatori Organi o all’anagrafe comunale che si sta attrezzando per questo. È sempre importante per il donatore che ci sia una condivisione in famiglia, che se ne parli in casa, che i parenti sappiano cosa ha deciso il donatore, così nessuno avrà più dubbi”.
Una sorta di testamento.
“Esattamente. Diciamo che cerchiamo di rendere razionale un evento assolutamente irrazionale. Per farle capire le porto un dato: In Emilia Romagna i cittadini che hanno espresso la volontà di donare sono 191.424”.
Dottor Bruscoli, rovesciamo per un attimo la medaglia e passiamo dal donatore al ricevente: servono tempi lunghi per avere un organo?
“In Emilia Romagna per un rene occorrono circa 3 anni, per il cuore 8o 9 mesi,per un fegato 7 o 8 mesi, mentre per un polmone all’incirca 5 mesi”.
Quali sono i presupposti per ricevere un organo? Se in lista c’è un giovane può passare avanti a un anziano?
“Sostanzialmente chi entra prima in lista d’attesa è perché gli è stata riconosciuta luna certa gravità. I criteri sono condivisi in tutt’Italia: chi è più grave viene trapiantato prima, inoltre entrano in gioco anche vari fattori di compatibilità”.
Per la collettività queste sono esperienze che segnano e insegnano il valore della sofferenza e della vita. Forse non se ne parla a sufficienza, forse siamo mentalmente distanti per pensare che non verremo mai toccati da una simile esperienza. Ma mai dire mai. Può accadere. Come è successo a Nicholas Green, morto alla tenera età di 7 anni. Il manifesto ce lo ricorda. La sua giovane vita è rinata in altre 7 persone.
Laura Carboni Prelati