Al suo esordio, è stata una delle sorprese dell’estate. “Occupando” piazza Tre Martiri, a Rimini, per un “Appello all’Umano” “armata” solo di rosario e testimonianze per pregare in favore dei cristiani perseguitati (e per le altre minoranze religiose) in Iraq, in Siria e in ogni altra parte del mondo.
“Appello all’umano” torna periodicamente il giorno 20 di ogni mese, sempre in piazza Tre Martiri e sempre proposto dal Comitato Nazarat. Era il 20 agosto 2014 quando il Comitato radunò per la prima volta circa 500 persone, fra riminesi e ospiti in vacanza in città, per l’Appello all’Umano. Un mese dopo l’altro il gruppo si ritrova e in questo lasso di tempo purtroppo le persecuzioni non sono cessate. Anzi, l’escalation di violenza sembra inarrestabile insieme alle persecuzioni dei cristiani e delle altre minoranze religiose in Iraq e Siria e nei cui territori la guerra divampa come fuoco nella stoppia. Il Comitato Nazarat prosegue così il suo impegno di preghiera e sostegno della presenza dei fratelli in quei territori che sono stati la culla del cristianesimo.
Venerdì 20 novembre torna quindi in piazza Tre Martiri alle ore 21,15 per la recita del rosario a cui parteciperà con la sua testimonianza padre Bahjat Elia Karakach, un frate francescano di Aleppo. Quello di venerdì 20 novembre è il sedicesimo appuntamento dell’“Appello all’umano”. Tanti i testimoni che sono intervenuti in piazza: prelati come il cardinale Jean-Loius Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso all’arcovescovo siro cattolico di Mousl mons. Yohanna Petros Mouche. Giornalisti (l’inviato di Tempi Rodolfo Casadei, l’inviato del Giornale del Popolo di Lugano Maria Acqua Simi, e il direttore di asianews.it padre Bernardo Cervellera), sacerdoti (padre Sony Behanan – nella foto – e padre Doulags Al Bazi) e missionari laici (Filippo Di Mario, catechista itinerante del cammino neocatecumenale, e Leo Capobianco, responsabile di Avsi ong in Kenya). Il manifesto che annuncia l’appuntamento all’interno della lettera araba ‘nun’ contiene una frase della madre della piccola Miriam, una bambina profuga con la famiglia nel campo di Erbil: “Se fosse tutto nelle mie mani io non sarei in grado di perdonare però quello che vivo è che il desiderio di Gesù è dare la grazia agli uomini di imparare a perdonare a vicenda. È solo tramite Dio che possiamo imparare a perdonare”. Saranno in comunione con il Comitato anche le monache dell’Adorazione Eucaristica del monastero di Pietrarubbia. Un’altra novità è costituita dall’incontro che padre Bahjat Elia Karakach terrà il giorno dopo, sabato 21 novembre alle 21,15 nella sala parrocchiale di San Giuseppe al Porto.
Perché serate di preghiera quando spesso la richiesta che arriva è “non fiori ma opere di bene”? Ce lo spiega Marco Ferrini del Comitato Nazarat. ”I testimoni hanno sempre concluso i loro interventi al termine del Rosario con una frase: «Pregate per noi». Un appello che può sembrare irragionevole nel nostro mondo contemporaneo, così utilitaristico, anche di fronte alle cose ultime. Eppure – prosegue Ferrini – non c’è mai stata una richiesta di aiuti, di mobilitazione politica, di pressione istituzionale. Niente di tutto questo, se non come tema accessorio. Questa gente – cacciata dalle loro case, derubata dei proprio beni, minacciata affinché rinnegasse il proprio credo – non ci ha chiesto di imbracciare la armi, di ospitarli, di dare loro cibo, soldi o vestiti. Ci ha solo chiesto di continuare a pregare. Una preghiera che li aiuti a resistere, senza scappare dalla terra che è stata culla del cristianesimo per millenni”.
(t.c.)