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Malattie respiratorie e tumore al polmone, numeri in aumento

Le malattie dell’apparato respiratorio sono in crescita. Si stima che tra una decina di anni saranno la terza causa di morte in Italia dopo le malattie cardiovascolari e i tumori. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, nel 2010, le morti premature causate da inquinamento atmosferico sono state 400mila solo nel vecchio continente. E per il 2030 sono attese altre 300mila morti premature, causate soprattutto da polveri sottili (PM10 e PM 2,5). In ascesa, purtroppo, anche i tumori al polmone. Nel 90% dei casi, legati al fumo di sigaretta, ma c’è anche una quota piccola, ma in costante aumento, di persone tradizionalmenete “non a rischio”, in particolare donne sui 40 anni non fumatrici. “Nei non fumatori, far risalire le cause del tumore solo all’inquinamento sarebbe azzardato, ma esso è certamente uno dei fattori responsabili” afferma il dottor Luigi Lazzari Agli, direttore dell’Unità Operativa di Pneumologia di Rimini e Riccione. Più in generale, “l’inquinamento ambientale può favorire un aumento delle malattie respiratorie nella popolazione, ma anche un peggioramento delle condizioni del paziente. Nella persona asmatica, ad esempio, possono aumentare le crisi di asma”.

Qualche dato. Dal 2007 ad oggi sono stati seguiti da questa Unità Operativa 1.491 pazienti con sospetto tumore al polmone, come spiega il primario che dirige il reparto fin dal primo anno di attività, il 2004. Nel 90% dei casi, il tumore era reale. La media di diagnosi l’anno è di 120-130. Le donne sono sempre di più. Negli ultimi settant’anni, del resto, il consumo di tabacco nel “sesso debole” è impennato, fino quasi ad eguagliare i numeri maschili. Negli anni ’50 fumava il 65% di uomini e appena il 6,2% di donne. Poi l’emancipazione femminile ha toccato anche la sigaretta e oggi fuma ben il 19,7% delle donne italiane mentre tra gli uomini la percentuale si è ridotta al 23,9%.
Nei casi di tumore al polmone, nella Ausl romagnola, il tasso di sopravvivenza tocca il 15%, il che vuol dire che 15 persone su 100, indipendentemente dallo stadio della neoplasia, sono vive a cinque anni dalla diagnosi. “Ma molto spesso questa avviene in fase avanzata” spiega il dottor Lazzari, visto che il cancro al polmone non può ancora contare su screening finalizzati ad una diagnosi precoce come avviene invece per mammella, utero o colon. “Negli Stati Uniti e in Italia si stanno sperimentando Tac a bassa dose, ripetute, ma ancora non sembra essere questo l’esame più idoneo”. La percentuale di sopravvivenza tra i malati è in aumento, “ma tale incremento è ancora basso rispetto a tutti i notevoli progressi che la medicina ha ottenuto in questi anni”.

In ogni caso, il territorio riminese può contare su un reparto d’eccellenza, anche se poco conosciuto. Un reparto che si è dato un traguardo temporale preciso tra la prima presa in carico del paziente e la decisione del percorso diagnostico (al massimo un mese) e che due anni fa ha anche vinto un riconoscimento del Programma Nazionale valutazione Esiti (PNE) del Ministero della Salute per il più basso tasso di mortalità a 30 giorni dall’intervento chirurgico, in tutta l’Emilia Romagna. La sua forza è il team costituito da otto pneumologi, divisi tra gli ospedali di Rimini, Riccione più un terzo punto di Pneumologia al “Franchini” di Santarcangelo (“i medici del reparto di Medicina diretto dal dott. Ioli, con cui esiste una stretta collaborazione”) più altri due pneumologi territoriali esterni in carico ai Distretti Sanitari, uno dei quali copre anche l’ospedale di Novafeltria e l’area dell’alta Valmarecchia.

Il tumore al polmone è solo una delle patologie. Attualmente Lazzari ed il suo staff seguono anche 200 malati neuromuscolari, “assistiti dallo specialista pneumologo già dai primi sintomi di insufficienza respiratoria, in day hospital, evitando così di arrivare ad una fase acuta e di doverlo ricoverare”. Per i pazienti nelle fasi avanzate della malattia, “preziosa è anche la collaborazione con i colleghi delle cure palliative”.
Una trentina sono invece i malati considerati “ad alto impatto”, dipendenti da macchine per la respirazione artificiale, che possono usufruire dell’assistenza a domicilio. “Un progetto che coinvolge anche due rianimatori, un cardiologo, un nutrizionista, un neurologo, un fisiatra ed un fisioterapista” spiega Lazzari.

L’Unità sta poi seguendo 450 persone con problemi di insufficienza respiratoria, che necessitano di supplementi di ossigeno a domicilio (bronchite cronica ostruttiva, fibrosi polmonare, cardiopatici polmonari, per fare alcuni esempi) e altre 600, circa, con ventilatori a domicilio. Perlopiù problemi legati a fumo, enfisema e bronchite asmatica. Molti anche i casi legati a disturbi respiratori nel sonno.
Dal 2004 ad oggi, come riferisce il direttore, il volume di attività del reparto è aumentato notevolmente. Oggi, a Riccione vengono seguiti perlopiù i pazienti ambulatoriali con malattie neuromuscolari e insufficienze respiratorie mentre a Rimini (e solo qui) i medici della Pneumologia assistono in maniera trasversale una media di 450 pazienti l’anno ricoverati nei vari reparti dell’Infermi, in collaborazione con rianimatori, medici di medicina d’urgenza e medici internisti.

La presa in carico. “Abbiamo creato un gruppo di persone che studiano vari aspetti del tumore al polmone – spiega Lazzari -. Pneumologi, chirurghi toracici, radiologi, rianimatori, oncologi…”. Per i pazienti con sospetta neoplasia al polmone, così come per le persone affette da malattie neuromuscolari (distrofici, malati di Sla con insufficienza respiratoria, ecc.) esiste un canale dedicato: non si passa cioè dal Cup e la visita viene effettuata entro 48-72 ore dalla chiamata diretta in reparto. C’è però un “ma”. Se fino a qualche giorno fa il paziente, grazie a questa modalità, poteva presentarsi in reparto anche senza l’impegnativa del medico, oggi le regole sono cambiate. La Regione ha chiesto a tutte le Ausl di monitorare i tempi di attesa quindi a differenza di prima serve l’impegnativa (ossia il codice identificativo lì contenuto). Lazzari comunque rassicura: “Basta telefonare direttamente al nostro reparto e noi diamo tutte le istruzioni”.
Dopo la prima visita, il pneumologo stabilisce o meno la necessità di ulteriori accertamenti in day hospital. Durante questa fase, che precede la diagnosi, tutti i professionisti dello staff si riuniscono settimanalmente per discutere dei casi presi in carico e stabilire per ciascuno l’iter diagnostico e terapeutico. “Un lavoro di squadra fondamentale” sottolinea Lazzari, in particolare per i pazienti con sospetto tumore al polmone: “In tal caso è importantissima la collaborazione, oltre che con i chirurghi, con gli anestesisti. Occorre che anche loro conoscano lo stato clinico ed il percorso dei singoli assistiti. È grazie a questo sistema che siamo riusciti ad abbattere drasticamente le complicanze peri e post operatorie tanto da risultare primi in Emilia Romagna nel 2013 per il Programma Nazionale Esiti del Ministero, che valuta la mortalità chirurgica a 30 giorni dall’intervento: per la vecchia ASL di Rimini è uguale a 0 (unico caso in regione). Non è merito solo della Pneumologia ma soprattutto dei chirurghi toracici, degli anestesisti e del team di professionisti che hanno studiato e preparato il paziente”.
Inoltre, “il passaggio dal pneumologo all’oncologo, fino all’anestesista, avviene interamente nella stessa struttura, nella porta accanto, per ridurre il più possibile l’ansia che la persona assistita ha in questa delicata fase”. Una decisione presa insieme al direttore dell’U.O. di Oncologia Davide Tassinari.

C’è un obiettivo però ancora da realizzare. Un supporto che la Pneumologia riminese ancora non ha per quanto riguarda il tumore al polmone. Un’associazione di pazienti o familiari di malati che collabori con l’Unità Operativa – come già accade per le malattie neuromuscolari con l’AISLA (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) e la UILDM (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare) – per sviluppare e perfezionare sempre di più la presa in carico, inclusa la gestione della comunicazione della diagnosi, o anche di un sospetto di diagnosi. “Quello che più ci sarebbe di aiuto e che un’associazione di pazienti o familiari potrebbe darci – conclude Lazzari – è un feedback, un riscontro degli stessi assistiti per avere anche il loro punto di vista”.

Alessandra Leardini