I fatti di cronaca ci restituiscono un’immagine della realtà fatta sempre più di violenze, soprusi, speculazioni, furbizie ed egoismi. In questo racconto, lo spazio riservato al “popolo degli onesti”, coloro che portano avanti non solo la propria esistenza con dignità, ma anche le proprie famiglie e la vita della Nazione, risulta talmente ridotto da sembrare quasi inesistente.
Eppure, l’esistenza di un Paese silenzioso, fatto di lavoratori, famiglie e formazioni sociali che quotidianamente – pur con le proprie difficoltà e limiti – si sforzano di svolgere con dignità e spirito di servizio le proprie occupazioni è innegabile. Si tratta, grazie a Dio, di un popolo maggioritario, generoso e operoso, abituato a non fare clamore e a rimboccarsi le maniche, senza il quale il Paese difficilmente sarebbe riuscito a uscire dalle sabbie mobili della crisi dei debiti sovrani. Anche se nessuno ne parla, c’è gente normale, che ogni giorno affronta paure e incertezze, vive la sobrietà nelle scelte di consumo, la rinuncia ad una spesa superflua, il rispetto delle regole, lo sforzo a tenere vivo il supporto prestato ai genitori anziani e l’aiuto ad un amico – spesso con l’angoscia di un lavoro sempre più instabile, l’incertezza del futuro, le tasse da pagare, sopportando i dispetti della burocrazia, con il peso lacerante dell’angoscia di lasciare ai figli un futuro peggiore del proprio.
In questa quotidiana ordinarietà è difficile non intravedere qualcosa di straordinario, di invisibile, eppure capace di trasformare la nostra società. Nelle storie di questi uomini e donne del nostro tempo v’è la testimonianza di chi sperimenta, nel quotidiano della propria vita, l’applicazione dei principi di dignità della persona, bene comune, sussidiarietà e solidarietà, e quei valori fondamentali di libertà, giustizia e carità di cui ci parla la dottrina sociale della Chiesa. Nonostante le difficoltà, questo popolo non si arrende. A questo popolo silenzioso, spesso escluso dai processi decisionali economici e politici, oltre che scarsamente rappresentato, dobbiamo molto. Esso ha sopportato, e tutt’ora sopporta, i costi sociali della spending review, del fiscal compact e degli errori del passato, facendo leva sulla solidarietà tra generazioni (genitori, figli e nonni) e sullo spirito di sacrificio.
Attenti però che, lasciando che sia solo questo popolo a farsi carico degli squilibri del nostro tempo, non solo si distrugge la coesione sociale, aggravando le disuguaglianze, ma si impoverisce il Paese, sprecando i talenti e la creatività di tanti uomini e donne esclusi dal circolo (vizioso) dello sviluppo. Occorre cambiare registro.