Cari Mattia e Gaia,
qualche giorno fa ho letto – come faccio ogni sera – un vostro messaggio riportato nel quadernone delle preghiere, posto davanti alla mia urna nella chiesa di s. Agostino, a Rimini. Mi avete scritto così: “Caro Alberto, quest’anno al Meeting di CL ci ha colpito molto una stretta coincidenza. Sia nel messaggio di papa Francesco che in quello di Sergio Mattarella ricorreva l’espressione: Siamo davanti a una terza guerra mondiale combattuta a pezzi.Tu che ne pensi? Come possiamo fermare questo raccapricciante sterminio?”.
Cari giovani, carissimi tutti, vi faccio pervenire questa mia risposta, tramite il vostro Vescovo. Vi confido che appena arrivai in paradiso e guardai dall’alto il vostro/nostro pianetino, mi è tornata alla mente la drammatica immagine scolpita da Dante nella Divina Commedia. Quando stava per varcare la soglia della patria beata, si è girato indietro e ha inquadrato dall’alto la terra come “l’aiuola che ci fa tanto feroci”. Il Papa e il Presidente della Repubblica hanno ragione: vista da quassù, la terra appare come un piccolo astro che gronda fiumi di lacrime e sangue. Se guardate con le lenti della ragione e del vangelo a ciò che c’è intorno a voi, se guardate ai focolai di guerra accesi in tutto il mondo; se guardate alle violenze, alle violazioni dei diritti umani, alle ingiustizie, alle macroscopiche differenze fra il mondo dell’abbondanza e quello della miseria; se guardate all’assurda cultura di morte e alla svalorizzazione della vita; se guardate alle tante forme di schiavitù presenti oggi nel mondo; se guardate all’immane tragedia dei milioni e milioni di cristiani perseguitati solo perché cristiani; se guardate alla sterminata fiumana di migranti che sfuggono alle drammatiche situazioni dei loro paesi, in cerca di libertà e di pane, mentre tantissimi di loro trovano morte e rigetto sulle rotte o sulle strade che portano alle nostre terre… come non provare amarezza e indignazione, come non decidersi alla denuncia e alla protesta, come starsene indifferenti o rimanere impotenti di fronte a questi lugubri fenomeni?
Carissimi, voi sapete che io sono stato chiamato ad entrare nell’anagrafe dei beati nell’immediato dopoguerra. Anche nel nostro Paese in quegli anni stava per scoppiare una guerra civile. Se questa tragedia ci è stata risparmiata, fu senz’altro perché, come dono fattoci dalla tradizione cristiana, sullo spirito della vendetta prevalse quello della riconciliazione. All’indomani della fine della guerra, scrivevo: “>Ormai è tempo di stringersi tutti fraternamente la mano, per procedere all’immenso lavoro che ci attende in tutti i campi della vita sociale e nazionale. Rifare le coscienze, sgombrare le macerie morali da tanti cuori traviati, trovare finalmente la vera carità che ci faccia sentire fratelli gli uni con gli altri”.
Anche oggi i cristiani, per fedeltà al Dio della pace, sono tenuti a seminare perdono e misericordia nei solchi della storia umana, perché la sua traiettoria sia piegata verso la pace. E proprio di pace parla la settima beatitudine annunciata da Gesù nel discorso della Montagna: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Ma in che cosa consiste questa pace di cui parla Gesù? Per apprezzare nel suo pieno valore la beatitudine agganciata alla parola “pace”, occorre assaporare il retrogusto di terra che si percepisce nell’espressione ebraica. La parola shalom deriva da una radice che, secondo i suoi usi, designa il fatto di essere intatto, completo, e arriva a indicare non solo l’assenza del mal-essere della guerra, ma afferma positivamente il ben-essere dell’esistenza quotidiana, lo stato dell’uomo che vive in armonia con la natura, con se stesso e con Dio. In concreto “pace” dice benedizione, sicurezza, lieto stupore, vita serena e appagata, gioia piena e perfetta.
Una vita benedetta è una vita in pace; è l’esistenza felice, feconda e fortunata di chi è e si sente amato, di chi si sa e si sente scelto, benvisto, benvoluto, benaccolto. È lo stato di grazia di chi può affrontare anche le prove più penose, perché sa e crede che davvero “tutto è grazia”. Una vita benedetta è la pace profonda di chi crede che perfino un deserto di male, se vissuto per puro amore, cambia radicalmente di segno – da meno (-) a più (+) – e può diventare un giardino fiorito di bene, al punto che invece di produrre, a sua volta, altro male diviene concreta possibilità di gratuita, irreversibile benedizione.
Ma chi sono gli operatori di pace, secondo Gesù? Si tratta di persone che amano molto la pace, tanto da non temere di compromettere la propria pace personale intervenendo nei conflitti al fine di procurare la pace tra quanti sono divisi. “Operatori di pace” non è sinonimo né di pacifici né di pacifisti, ma di pacificatori. Operatori di pace sono coloro che non si danno pace, finché non riescono a realizzare il bene comune.
Nella sua enciclica Laudato sì, papa Francesco ha legato fortemente il tema della pace alla custodia del creato. In buona sostanza nel suo messaggio il Papa vi chiede due no e tre sì. No all’egocentrismo che autorizzerebbe l’uomo a tiranneggiare sul creato. No all’ecocentrismo che priverebbe l’uomo della sua trascendente e superiore dignità. Alcuni dati confermano in modo allarmante la necessità di una inversione di rotta. Nei paesi ricchi viene sprecato il 30% degli alimenti. Solo in Italia rimangono invenduti e inutilizzati ogni anno 240mila tonnellate di alimenti, pari ad oltre un miliardo di euro. Questa somma basterebbe per dare tre pasti al giorno a 600mila persone. Positivamente il Papa raccomanda innanzitutto un cambio di mentalità: uscire dalla cultura dello scarto e dalla logica del mero consumo per promuovere forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti. Il secondo sì che il Papa domanda, conseguente al cambiamento di mentalità, è quello di nuovi stili di vita. Il consumismo ha mandato in letargo la coscienza. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di intasarsi di cose da consumare. Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale. Infine è richiesto un più chiaro e deciso investimento educativo. Sempre di più si deve educare a costruire la pace a partire dalle scelte di ampio raggio a livello personale, familiare, comunitario e politico. Tutti si è responsabili della pace e della protezione e cura del creato.
Termino con uno slogan. È di papa Francesco, per la prossima Giornata mondiale della Pace (1 gennaio 2016): Vinci l’indifferenza e conquista la pace. L’indifferenza va sconfitta con una vasta e capillare opera di sensibilizzazione e di formazione.
Vi raccomando, miei giovani amici: non fatevi rubare la speranza! Non fatevi addormentare la coscienza! Non fatevi condizionare dall’indifferenza che regna sovrana! Riempite di Gesù la vostra giovinezza: ve la ritroverete piena di luce e sarete beati operatori di pace…
Prego per voi tutti e vi saluto con grande affetto, con stima e sincera simpatia.
Rimini, chiesa di S. Agostino,
5 ottobre 2015
vostro, Alberto Marvelli