Capitò un giorno di fine anni 80 al Liceo “Giulio Cesare” che, mancando nella mia classe un professore per un’ora, fu proprio il preside Sergio Ceccarelli a presentarsi alla cattedra. Ogni preside di suo incute riverenza e rispetto. Figurarsi per noi ragazzini del Ginnasio, con quel preside che rappresentava la storia stessa del Liceo. Sotto di lui, ormai prossimo alla pensione, erano passate generazioni di riminesi: una figura quasi leggendaria. E capitò che un incauto studentello avesse lasciato ben visibile sul banco il Bignami dei “Promessi Sposi”. Il preside passò buona parte di quell’ora a deplorare lo studentello, con pacatezza ma al contempo con fermezza, per l’utilizzo di quello strumento che toglieva ogni valore artistico e letterario all’opera. E lo studentello non poté far altro che ascoltare a capo chino l’inconfutabile reprimenda. Il Bignami, lo confesso, negli anni a venire l’ho usato ancora ma solo in caso di estrema urgenza. E consapevole, con le parole di quel preside a riecheggiare ancora in testa, di compiere un’ingiustizia culturale. A ogni uso “proibito” del Bignami mi impegnavo comunque a recuperare l’opera per intero. Per rispetto nei confronti di quel preside che mi fece fare una delle peggiori figure della mia carriera scolastica ma che mi fece anche capire qualcosa in più sul significato di cultura.