Le zone pastorali nella
prospettiva della missione
Animatore: don Lauro Bianchi
L’elemento prioritario è che i preti capiscano bene cosa significa “vivere” la zona pastorale; non sembra che ciò possa essere dato per acquisito. Ormai appare evidente che se non sono i preti a muovere i primi passi, è difficile che le comunità si muovano verso questo orizzonte. È necessario che si incrementi la relazione e la comunione tra i preti della zona per essere un faro di comunione all’interno della chiesa e della comunità di zona. I laici, illuminati da questa realtà, si animano e vengono educati alla comunione.
È necessario che ci sia una conversione forte fondata su una “fiducia reciproca”, dove ci si suddivide la responsabilità pastorale nella zona e dove ci si affida l’uno nelle mani dell’altro. Rifondare la vita presbiterale, e di conseguenza la vita delle comunità parrocchiali, sullo stile evangelico.
Ogni realtà parrocchiale risulta diversa dalle altre. È evidente la differenza tra città e campagna, ma dovunque la zona aiuta a far fronte alle grandi metamorfosi che le nostre comunità parrocchiali stanno vivendo. Non si parla di creare “nuove strutture” ma di favorire il dialogo e l’accompagnamento verso questa “nuova visione di Chiesa”.
È necessario sensibilizzare per questo anche la realtà dei Consigli Pastorali e dei collaboratori più stretti. Sono loro che in qualche modo devono sostenere e incoraggiare questa metamorfosi.
È necessario aiutare i fedeli delle nostre comunità parrocchiali a capire come la realtà stia cambiando, e questo già rappresenta una forma di evangelizzazione, soprattutto per quelle persone che, esterne dalla realtà parrocchiale stretta, non hanno più un aggancio con la realtà di fede.
È necessario che si valorizzino i carismi laicali e delle comunità dei consacrati. Non parliamo più di “eventi missionari”, ma di un lavoro continuo sul rendere le nostre comunità delle realtà missionarie, dove tutte le vocazioni siano protagoniste e corresponsabili della pastorale e della vita delle nostre comunità.
All’interno delle nostre zone pastorali sarà fondamentale valorizzare il carisma delle varie aggregazioni laicali, magari mettendole in rete tra loro all’interno della zona pastorale.
È necessaria una grande conversione di fiducia anche nei confronti dei laici. È necessario che si lascino le persone “sbagliare”. Se noi preti, continuamente, siamo sempre in fase difensiva, protettiva, non cresceranno mai.
La Zona Pastorale aiuta anche a “smontare i possessivismi” dei vecchi operatori pastorali che si sentono “proprietari” di quella singola realtà, nella quale i giovani faticano ad entrare.
Le nostre comunità parrocchiali, in questi anni, hanno avuto diverse occasioni di discernimento. A volte si fa fatica a capire “cosa sia la parrocchia” in questa realtà di zona pastorale. È necessario, quindi, recuperare tutto quello che si è fatto alla luce del “nuovo” che avanza. È necessario custodire ciò che identifica la comunità per aprirsi alla Zona Pastorale con una identità forte e creare una comunione reale. Partire dalla memoria del passato per aprirsi alla sfida del futuro. Tante le occasioni di discernimento, ora è il tempo di porre passi concreti.
Le periferie esistenziali
Animatore: don Pier Paolo Conti
La categoria delle periferie esistenziali ci richiede un nuovo atteggiamento spirituale nello stare di fronte alla realtà; ci richiede una conversione! Siamo chiamati ad uscire, ad andare incontro, a iniziare percorsi nuovi.
Tale conversione ha una dimensione personale e una dimensione comunitaria.
Siamo di fronte ad una varietà di periferie; tale varietà può presupporre una molteplicità di percorsi e di approcci. Dal confronto del gruppo sono emersi alcuni elementi comuni e alcune proposte concrete:
La categoria delle periferie non si colloca accanto alla pastorale ordinaria, ma chiede di essere compresa al suo interno. Ciò che davvero conta è trasformare in senso missionario la pastorale ordinaria. Cosa significa questo elemento per la catechesi dell’Iniziazione Cristiana (IC)? Per esempio passare dalla catechesi dei ragazzi a quella dei genitori? O cosa significa per le nostre celebrazioni liturgiche? È possibile valorizzare la partecipazione di coloro che fanno più fatica a partecipare?
La categoria delle periferie ci pone di fronte all’esigenza della concretezza, alla valorizzazione dei piccoli gesti. Occorre recuperare il coraggio di un incontro “corpo a corpo”; il coraggio di andare incontro alle persone aprendosi alla possibilità di incontri complicati, mettendo anche a rischio se stessi, così come accade nei paesi di missione. Tali incontri hanno però la possibilità di contagiare positivamente noi e le nostre comunità.
Alcune proposte concrete:
– Accogliere le poche famiglie di nomadi – ormai stabilizzate – nelle nostre comunità, aiutandole a superare la difficoltà reale di trovare una collocazione.
– Ribaltare il metodo attuale della Caritas parrocchiale; non sono più i poveri che si mettono in fila, ma siamo noi che li visitiamo a casa e ascoltiamo i loro bisogni. Sono i credenti che si fanno carico insieme o individualmente del bisogno dei poveri.
– Costituire un osservatorio diocesano per leggere i segni dei tempi in modo più ampio di quanto fatto dal report sulle povertà della Caritas: analizzare per esempio la sfida del dialogo interreligioso, le questioni inerenti all’educazione, alla famiglia …
– Un gesto come la benedizione delle famiglie, in un contesto secolarizzato, può assumere un forte valore di evangelizzazione; è importante ripensarlo e trovare le forme più adeguate alla situazione attuale (un’opera non solo del prete, ma della comunità missionaria).
– La concretezza ci richiama anche ad un metodo diverso nell’affrontare le problematiche all’interno del nostro presbiterio che, su alcune questioni importanti, dovrebbe decidere in modo assembleare, arrivando a delle scelte e alle verifiche sulle stesse. Occorre affrontare la questione sinodale in modo più serio e con un metodo più coerente.
– La prospettiva delle periferie esistenziali ci pone di fronte al fatto che noi pure siamo diventati una periferia di fronte al mondo, che siamo considerati marginali. Questo dato, una volta acquisito, ci può portare ad una maggiore prossimità con coloro che sono destinatari dell’evangelizzazione. Tale consapevolezza ci può aiutare ad essere più accoglienti e ospitali nei confronti dell’altro, sapendo riconoscere con più semplicità i doni di cui è portatore.
– Il contesto secolarizzato in cui le nostre comunità vivono, accanto a tanti segnali di indifferenza, manifesta anche una grande sete di Dio. Tale consapevolezza invita noi credenti a renderci presenti in ogni contesto per testimoniare la possibilità di un incontro con Colui che “rende felice la mia vita”. Il problema di fondo è sempre la vitalità e la ricchezza della nostra fede (“se il sale perde il suo sapore…”).
– Molti oggi incontrano la realtà ecclesiale soprattutto attraverso i media; anch’essi rappresentano una periferia in cui occorre continuare ad essere presenti. È importante non sguarnire la presenza che abbiamo in queste realtà.
Nuove figure di laici
per la missione
Animatore: don Biagio della Pasqua
Il confronto rinnovato con Evangelii Gaudium e Evangelii Nuntiandi ci ha portato a convergere in modo unanime sull’assioma che tutti i battezzati sono evangelizzatori, tutti sono operai della evangelizzazione. All’interno di questa realtà condivisa da tutti i battezzati, riconosciamo che il Signore suscita in seno alla comunità cristiana ministeri diversi e corresponsabilità diverse per il servizio della comunità e del mondo. Tale ministerialità non rappresenta un’esigenza organizzativa, ma è un fatto spirituale e vocazionale, in quanto frutto dell’azione dello Spirito di Dio.
La comunità cristiana si presenta come un corpo articolato in una pluralità di carismi e ministeri. Ma tali ministeri e carismi non vengono dati dal Signore in una prospettiva funzionale; essi necessitano del grembo materno di una Chiesa in cui le persone sono generate e continuamente rigenerate alla fede.
– La comunità cristiana che vive in un territorio avverte l’esigenza di una certa capillarità. Per questo motivo spesso si struttura e si articola in gruppi di vicinato che vivono inizialmente momenti conviviali e di aggregazione, e, in seguito, anche momenti celebrativi. In questa articolazione si avverte l’esigenza di laici formati che possano essere un punto di riferimento e animatori di queste realtà articolate. La stessa cosa può accadere negli ambienti di vita.
La realtà delle nostre parrocchie manifesta l’esigenza di nuovi paradigmi nell’approccio e nel coinvolgimento delle persone, più vicine all’esperienza di vita che a dei contenuti da condividere. C’è un’attenzione agli adulti che deve essere ricuperata in modo diffuso nelle nostre comunità. Questa attenzione e questo coinvolgimento devono partire di più da ciò che si vive e condivide. Sarebbe importante, proprio grazie ad un coinvolgimento maggiore dei laici, aprire nuovi orizzonti di impegno e di evangelizzazione, in situazioni nuove e inedite. E questo a partire dall’esperienza professionale o dalla sensibilità che molti laici portano per la loro esperienza di vita.
La comunità cristiana è chiamata ad un processo di discernimento sulla evangelizzazione che potrebbe chiedere anche tempi lunghi; tale processo può individuare luoghi concreti in cui ritrovarsi intorno alla Parola di Dio e far nascere in qualcuno anche l’esigenza di una formazione più specifica e orientata. I luoghi naturali per questo discernimento dovrebbero essere i CPP, i gruppi di giovani e adulti delle parrocchie e delle aggregazioni laicali, i CPZ, i Vicariati, la Diocesi, …
Il discernimento compiuto alla luce del Vangelo ci aiuta a cogliere e condividere le sfide e le positività del contesto in cui viviamo, riconoscendole di volta in volta, come possibili soglie della fede e occasioni di evangelizzazione.