È stata “un’esperienza fuori dal normale”. Così hanno definito il seminario di una settimana presso il quartier generale della Apple, a San Francisco, a cui hanno da poco partecipato, due esponenti dell’azienda “Mr. Apps” di San Marino. Samuele Mazza e Nicola Giancecchi sono due sviluppatori di applicazioni mobile, rispettivamente di 26 e 22 anni, scelti dall’impero informatico di Cupertino insieme a 5mila fra i migliori sviluppatori di tutto il mondo, per scrutare da vicino come lavorano i produttori di dispositivi Mac e iPhone.
Perché è stata così importante questa esperienza per voi?
“Innanzitutto abbiamo potuto conoscere Tim Cook (nella foto con Giancecchi)e tutta la leadership di Apple, che ci hanno reso partecipi di informazioni esclusive sul progresso dei loro sistemi. La nostra è stata una condizione di privilegio sui competitor, abbiamo potuto essere un passo avanti a tutti. E poi è stata un’ottima occasione per fare rete, sia nei colloqui faccia a faccia con gli ingegneri Apple, sia con gli altri sviluppatori di tutto il mondo con i quali è stato possibile instaurare rapporti che, nel lungo termine, potrebbero portare a collaborazioni importanti. Confrontarsi con realtà diffuse come Google, Facebook o Linkedin, giusto per citarne alcune, tutte basate a San Francisco, è decisamente stimolante”.
Che aria avete respirato nella Valley?
“È un universo che cambia ora per ora. Ogni giorno nasce una startup. Lì si sono insediati i team che stanno cambiando il mondo. Si respira un’aria di fiducia, di ottimismo che speriamo di portare da queste parti. Per noi è stato un sogno che si è realizzato e che ci ha aperto gli occhi su realtà che difficilmente incontreremmo”.
Quanto è difficile fare innovazione sul nostro territorio?
“L’Italia ha diversi problemi di fondo, dalla burocrazia alla mancanza di investimenti. È un problema culturale. Non ci sono infrastrutture. In California è possibile aprire la propria azienda e avviarla nel cuore del mondo informatico in pochi giorni. La Silicon Valley è racchiusa fra le università di Stanford, Berkeley e San Jose dove si è inventata l’informatica. Vivono di quello. Un esempio? A San Francisco la maggior parte delle pubblicità è rivolta agli sviluppatori: i giovani sono al centro, mentre qua da noi sono visti più come combina-guai, non vengono messi nelle condizioni di dare spazio alle proprie idee”.
Cosa è piaciuto del vostro lavoro per essere stati scelti?
“Le nostre app hanno colpito soprattutto gli ingegneri di IBM, che collaborano con Apple. Del nostro lavoro è piaciuta sia la qualità grafica sia l’essere stati in grado di collezionare nel nostro portfolio progetti complessi nonostante siamo una piccola azienda di giovani, tutti dislocati tra San Marino, Rimini e Cesena. Oggi vanno molto di moda le startup che curano un solo servizio, invece noi ci rivolgiamo a clienti differenti e internazionali”.
Come è stato possibile raggiungere questi obiettivi in un territorio come il nostro che non ha una particolare tradizione di tecnologia mobile?
“La ricetta del successo è l’ottimismo e il fare tanti sbagli. È importante farli perché nel mondo dei software le idee sono sempre perfettibili. Per gli americani le esperienze fallimentari nel curriculum sono un punto di forza, perché significa che si è appreso qualcosa. E poi non bisogna mai adagiarsi sugli allori perché questo è un ecosistema in continua mutazione. L’auto-formazione è molto importante”.
Mirco Paganelli