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Calciando la disabilità

La consacrazione è arrivata allo stadio “Dino Manuzzi” in occasione della partita di ritorno, Cesena-Atalanta, lo scorso 29 aprile. Intervallo fra primo e secondo tempo. Scendono in campo i piccoli-grandi calciatori del progetto Calciando la disabilità dell’Asca di Savignano per cimentarsi in una dimostrazione tecnico-motoria con tiro finale in porta. All’improvviso, ecco l’incitazione dei cori a raccogliersi sotto la Curva Mare per assistere da vicino all’esibizione, poi il coro della vita: “siamo orgogliosi di voi”. Tutti i tifosi bianconeri all’unisono a tifare per loro.
“È stato il più bel regalo di questa stagione sportiva” racconta Massimo Buratti, presidente regionale dell’Aiac (Associazione Italiana Allenatori Calcio) ma soprattutto ideatore e promotore del progetto “Calciando la disabilità” che la società sportiva Asca di Savignano mette in pratica da due anni, di fatto non appena lo ha scoperto. Del progetto – che al momento coinvolge una ventina di piccoli giocatori in rapporto equivalente tra disabili e normodotati – si è parlato qualche giorno fa a Savignano, alla Sala Allende, in occasione del convegno “Oltre la vittoria. Abilità diverse e settore giovanile”, con l’allenatore Fabio Lepri, la psicomotricista Patrizia Betti, Roberto Biondi, responsabile del Settore Giovanile del Cesena calcio, il calciatore Stefano Lucchini, Marcello Mancini consigliere nazionale AIAC e lo stesso Buratti.

L’obiettivo. “Il progetto – racconta Buratti – punta all’integrazione fra bambini con disabilità intellettive e bambini normodotati tramite il gioco del calcio”.
Un gioco che, a differenza di quello dei grandi, non ha come fine ultimo la vittoria sul campo. Anzi, come afferma lo stesso Buratti, la vittoria non esiste.
“Calciando la disabilità vuole offrire ai ragazzi la possibilità di vivere una esperienza normale, pulita, una esperienza di gioco spontaneo, libero, tra bambini, senza condizionamenti di alcun genere. Quello che insomma succede normalmente in ogni campetto di periferia quando si incrociano una palla e dei bambini”.
I calciatori di Massimo Buratti sono affetti da ritardo, Sindrome di Down, autismo e bambini normodotati che scelgono spontaneamente di giocare insieme. Tutti tra i sette e i sedici anni, una fascia di età – soprattutto quella centrale – in cui l’integrazione arriva spontaneamente e con facilità.
“Un bambino che si impegna a giocare con amici con velocità e capacità diverse, interiorizza valori che saranno una ricchezza per la vita”.
Proprio la spontaneità e la facilità con cui i piccoli entrano nel progetto è la sua forza. E i risultati, ha raccontato Lorenza, mamma di un bimbo affetto da Sindrome di Down che ha commosso l’intero pubblico del convegno alla Sala Allende, si misurano in termini di crescita di autostima e di felicità dei bambini.

L’ostacolo imprevisto. Il difficile è convincere enti e istituzioni, a partire dalla scuola, a sposare il progetto stesso. L’Asca di Savignano, ed in particolare il Presidente ex giocatore bianconero Carlo Teodorani e il responsabile del Settore Giovanile Christian Brigliadori, non hanno esitato a condividere il sogno di Massimo Buratti. Del resto il principio per il quale più il contenitore è eterogeneo, più l’ambiente è creativo e stimolante e di conseguenza i talenti possono meglio sbocciare, era già alla base del metodo educativo adottato dalla loro società sportiva. Altre realtà italiane ne hanno compreso il grande potenziale, ad Ascoli Piceno, Coverciano, Roma, Torino, Milano.
“Il prossimo obiettivo – conclude Massimo Buratti che ha comunque terminato la stagione sportiva con grandi soddisfazioni – è quello di avvicinare il mondo del Cesena calcio. La società per eccellenza della Romagna potrebbe dare grande visibilità al progetto”.
Questa volta il gol non può mancare.

Mariaelena Forti