Difficile a dirsi, ma improbabile che accada, anche se la legislazione riguardo alla possibilità di pignorare o meno animali domestici, nel caso di debitori insolventi, non è affatto cristallina. Fede nuziale, oggetti per l’esercizio del culto, biancheria, frigorifero, lavatrice, letto, fornelli da cucina, sedie, scritti di famiglia e manoscritti sono alcuni degli oggetti dichiarati “impignorabili” dall’art. 514 del Codice di Procedura Civile. Ma, fra questi, nessun riferimento ai cosiddetti “animali da compagnia”. Fra gli oggetti più insoliti pignorati ultimamente in Riviera si registrano una vasca idromassaggio Jacuzzi e un quantitativo industriale di mutande per la vendita.
Tempo fa in Italia sono saliti alle cronache alcuni casi di prelievo dei “migliori amici dell’uomo” da parte di Equitalia (nel 2010 un cucciolo di pastore Corso). Nessun caso, invece, pare essersi verificato in provincia di Rimini.
Ma con i patrimoni delle famiglie messi sempre più a dura prova dalla crisi, quanto rischia di vedersi portar via il proprio cane, gatto o coniglietto chi ha contratto un debito che fa fatica a saldare?
“Nel Codice non c’è alcun riferimento agli animali da compagnia, per cui ipoteticamente potrebbero essere pignorati – spiega l’avvocato riminese, Stefano Valeriani – anche se negli ultimi tempi è accresciuta nell’opinione pubblica il sentimento di protezione nei confronti di questi animali, che si è tradotto in una sentenza del Tribunale di Milano del 13 marzo 2013 (un caso di separazione dei coniugi), in cui gli animali vengono considerati come «esseri senzienti» e non più come cose, facendo riferimento al Trattato di Lisbona del 2007, e introducendo quindi una svolta”.
Si legge nella sentenza che «deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia», tant’è che le norme condominiali non possono più vietare di possedere un animale domestico. Una simile interpretazione degli atti permetterebbe di vincolare tutto ciò a cui l’uomo è affettivamente legato: non solo l’anello del matrimonio, ma anche a Fufi.
“Vorrei conoscere l’onorario dell’ufficiale giudiziario per effettuare il pignoramento di un pit-bull…”, ironizza Francesco Cucci, anch’egli noto avvocato del foro riminese. Al di là del tema affettivo o dei diritti degli animali, “ci sono evidenti questioni pratiche: trovo veramente improbabile che un ufficiale giudiziario, a mo’ di accalappiacani, si cimenti nel prelevare un animale con cui non ha alcun tipo di confidenza, col rischio di subire reazioni, anche aggressive, da parte dello stesso. Ci sarebbe poi anche il problema della custodia del bene pignorato. A chi dovrebbe essere affidato l’animale? Quali garanzie per il suo corretto mantenimento, anche sotto un profilo sanitario, fino al momento della vendita all’asta?”.
Il nostro sistema giuridico non tutela l’animale come soggetto avente dei diritti. Ad essere tutelato è il sentimento di pietà dell’uomo. Un esempio?
“Siccome ferire un cane provoca all’umanità un sentimento negativo, l’ordinamento vieta comportamenti come il fuggire dopo avere investito Fido. Tutti i beni non pignorabili elencati nell’articolo 514 sono chiaramente accomunati dalla stessa connessone alla sfera affettiva del debitore. A maggior ragione, quindi, dovranno dirsi impignorabili quei particolari «oggetti» dell’affetto del debitore costituiti dai propri animali d’affezione, che, pur essendo giuridicamente qualificabili come beni e non come soggetti di diritto, sono pur sempre esseri viventi dotati di capacità di soffrire e pienamente in grado di instaurare con il loro proprietario un rapporto empatico, a volte davvero molto simile a quello che si instaura tra esseri umani”.
Alcuni interventi recenti della giurisprudenza sulla tutela e contro il maltrattamento degli animali “consentono oramai di negare assolutamente l’equiparazione tout-court tra animali e cose”. E se le norme nazionali non risultassero sufficienti, si può sempre irrobustire la propria difesa facendo leva sulla più lontana e lungimirante Dichiarazione universale dei diritti dell’animale del 1978 (UNESCO). Pignorare un animale, dunque, “presenterebbe più di un profilo di illegittimità – chiosa Cucci – e costituirebbe un vero e proprio ricatto affettivo”.
Mirco Paganelli