Potremmo definirle le mille facce della legalità, per non citare le 50 sfumature che van tanto di moda in questo periodo. Di questo, di legalità, si è discusso nel salone della parrocchia riminese di San Gaudenzo che, alla vigilia del ventitreesimo anniversario della strage di Capaci, il 22 maggio, ha affrontato il tema da diversi punti di vista. Si parte dall’educazione con l’esperienza di Carmine Amato, educatore, fondatore della Cooperativa sociale “Il tappeto di Iqbal” e autore del libro Il ragazzo sta bene così.
Carmine Amato svolge il suo lavoro a Napoli, un territorio difficile, “Il mio libro è una sorta di diario, un luogo dove ho fatto il punto della situazione dopo 10 anni di lavoro. Così ho voluto enumerare gli obiettivi che ho raggiunto e condividerli con l’esterno”.
Nato e cresciuto a Napoli, Carmine Amato, ha creato la cooperativa per restituire ciò che ha ricevuto da ragazzo: un’opportunità. Quella che gli ha permesso di cambiare direzione e di vivere un’esistenza nel segno della legge.
“Con la fondazione della Cooperativa ho voluto fare qualcosa per altri ragazzi uguali a quello che sono stato io, passando così il valore della legalità. Il mio intento è quello di togliere i giovani dalla strada e portarli a scuola, che è lo spazio della parola”.
Amato parla di una Napoli difficile; con giovani che vivono in un contesto di “guerra”; dove i Boss vengono ammirati e sono considerati dei modelli da seguire. Veri e propri “burattini” che il lavoro della cooperativa vuole restituire alla realtà come uomini liberi. Un’opportunità, semplicemente. E di opportunità parla anche Pasquale Profiti, magistrato che a Trento segue processi di corruzione ed evasione fiscale. Si cambia scenario in un attimo e si parla di lavoro. Quale futuro per chi non ha l’opportunità, appunto, di accedervi?
In questi casi ci si affida all’illegalità che “spiana il terreno alla diffusione della corruzione”, sostiene Profiti.
“Prima della crisi i profitti per le grandi imprese aumentavano del 90%, mentre il Pil non reggeva il passo e aumentava di pochissimo. Chi si è arricchito lo ha fatto corrompendo, evadendo ed eliminando la concorrenza dell’economia sana. La crisi ha creato un divario di disuguaglianze sociali ed economiche, che ha generato un altro divario, quello della distribuzione della ricchezza”. I Paesi che in Europa hanno una migliore ripartizione della ricchezza sono quelli che hanno resistito meglio alla crisi e “hanno investito nell’innovazione del sistema, cosa che ha creato in automatico opportunità lavorative”.
La crisi ha facilitato non solo le differenze all’interno del territorio italiano, ma ha anche il merito – per meglio dire colpa – di aver contribuito alla diffusione della “febbre” del gioco. Anno per anno, nelle edicole e tabaccherie compaiono sempre più metodi per poter investire il proprio denaro e tentare la fortuna.
“Una volta c’erano solo la schedina, dove potevi solo inserire 1-X-2, il gioco del Lotto e la famosa Lotteria di Capodanno – ha ricordato la dottoressa Emma Pegli del Sert di Rimini – mentre ora i giochi sono esplosi, in termini qualitativi e quantitativi. In Italia, il gioco dei gratta e vinci, delle Slot Machine e delle Videolottery è stato introdotto dal Governo per disincentivare e sottrarre dalle mani della criminalità organizzata il gioco d’azzardo, illegale nel nostro Stato”. Ma poi il gioco “di Stato” ha preso il largo e oggi ci troviamo davanti a casi di ludopatia gravi. “Lo dimostra il fatto – sostiene la Pegli – che la B-Plus, azienda produttrice di Slot e Videolottery, è la terza azienda più prospera in Italia”.
Dal 2004, infatti, la B Plus Giocolegale Ltd, società che opera a livello internazionale nell’offerta di intrattenimento, ha deciso di estendere i propri interessi commerciali in Italia. “Da 11 anni, quindi, è molto più semplice per un’attività commerciale richiedere e avere in breve tempo una Slot per la propria attività”.
Forse sono i valori che mancano, o forse è la vita confusionale del mondo d’oggi che porta le persone al gioco e a spendere. “Forse la colpa è nostra, dell’essere umano. Forse siamo noi a non saper insegnare ai figli – conclude Emma Pegli – a resistere alle difficoltà e ad evitare le facili scappatoie”.
Sara Ceccarelli