Il rocker bresciano alla festa di Savignano (Festa di Sant’Eurosia 2015 – 7 maggio). “Arrendersi mai”. Morire e rinascere, e non solo professionalmente. Chi meglio di Omar Pedrini – tre operazioni al cuore, di cui una lunga 8 ore e a cuore aperto, una spada di Damocle pendente, una carriera rock parcheggiata ai lati del successo, e una vita tutta da reinventare – poteva rappresentare in musica il testimonial ideale del tema della speranza che Savignano ha posto al centro della festa di Sant’Eurosia? L’ex leader dei Timoria, rock band a da due dischi d’oro, oggi solista e artista a 360 gradi, sarà protagonista del concerto acustico d’apertura, giovedì 7 maggio.
Otto anni di silenzio discografico sono un’eternità nel pianeta delle sette note. Dunque, c’è sempre una speranza?
“Sono rimasto affascinato dal tema di questa festa. Ho pensato: chi meglio di me può portare una testimonianza dopo tre interventi al cuore?”.
Musicista, direttore artistico, presentatore, docente di Comunicazione alla Cattolica. E impegnato anche nel sociale.
“Sono tutti aspetti della mia personalità. Dopo la malattia, non potendo più fare il rocker, era necessario anche un piano B per mantenere la famiglia, i figli. mi sono dedicato al teatro, all’insegnamento, passioni che ho sempre coltivato. è importante tenere gli occhi bene aperti sul mondo e avere più frecce nel proprio arco per affrontare i momenti più delicati”.
Viviamo in una società terrorizzata dal tema della morte e impaurita dalla malattia. Lei invece non si è fatto scrupolo di raccontare quel che le è accaduto.
“La speranza non mi ha mai abbandonato, neppure due ani fa quando i medici stavano pronunciando la parola incurabile. Convivo serenamente con la malattia. Non la considero un privilegio ma neppure mi reputo più più sofrtunato di altri: ci sono persone senza casa, bambini ammalati di leucemia, è importante godersi di più lavoita, la salute e le gioie e non abbattersi nei momnti di crisi, anche nella malattia e con le tasche vuote come mi sono ritrovato io dopo aver chiuso col rock e con due figli a carico. Con la stessa forza guerriera occorre non arrendersi e lasciar scorrere i nostri destini”.
Ha interpretato il ruolo del prete rock don Luigi nel film Un Aldo qualunque al fianco del santarcangiolese Fabio De Luigi, tra l’altro. Che esperienza è stata?
“Giravamo a Cinecittà, in una chiesa vera. Ogni giorno mi trovavo di fronte al crocifisso. In casa del mio datore di lavoro mi segnavo quotidianamente on l’acqua benedetta. E così mi sono riavvicinato alla religione. Symbolum 77 con i Timoria”.
La sua band, i Timoria, sembrava destinata ad un successo clamoroso. Rimpianti?
2Due dischi d’oro, tanti concerti, fan ovunque. Ma aumentavano le pretese, Renga se n’è andato, scongtri, delusioni, è difficile mettere d’accordo cinque persone adulte. La band aveva detto tutto quel che poteva dire”.
Nel suo ultimo disco ci sono anche tante collaborazioni, alcune anche sorprendenti. Come sono nate?
“Come un regalo. Ron, ad esempio, ha ascoltato «Gaia e la balena”: sarebbe stato un delitto non inciderla, è stata la sua opinione. Così mi ha regalato una settimana nel suo studio di incisione (io non avevo soldi a sufficienza per permettermi un tale intervento) e il duetto nell’album”.
Dunque ha trovato le “due ali d’aquila” di cui si parla nel testo, “tra il sogno e la realtà”. Nel 2014 si è sposato con la sua compagna Veronica. Perdipiù senza tanti clamori, anzi in punta di piedi. Una scelta controcorrente?
“Il matrimonio doveva restare segreto, ma alcune foto sono finite in Rete… Un mese prima della cerimonia ero ancora grave, la mia fidanzata era giovane, una bimba appena nata, così ho voluto legalmente renderla la signora Pedrini. Forse non è stata una scelta molto romantica ma di amore sì: era giusto dare una famiglia a mia figlia e a mia moglie”.
In una intervista del 2012 ha dichiarato di ”aver riscoperto Cristo negli ultimi tre anni”. Dove lo aveva perso?
“La figura di Cristo non l’ho mai abbandonata del tutto: propone l’uguaglianza tra le persone e tanti valori importanti. Non ho compreso invece tanti atteggiamenti della Chiesa e la distanza creata con la vita della gente. Papa Francesco mi ha riavvicinato: è il vicario di Cristo e si comporta come un prete di periferia, con un’umiltà che dovrebbe interrogare anche chi non ha fede”.
È vero che suona la chitarra anche in chiesa?
“L’ho suonata per anni, in tante messe beat a Brescia con il mio parroco don Mario, fondamentale per la mia crescita”.
Ha mai pensato di proporre in una celebrazione pure la sua canzone “Nel mio profondo”? Quel brano sembra tanto una preghiera.
“L’ho scritto dopo il primo ricovero pensando alla vita e alla morte, quando bussa alla porta un imprevisto. In seguito l’ho musicata”.
Oppure preferirebbe intonare “Sangue impazzito”? Parla di perdita e ricerca della fede. In un incontro di formazione per ragazzi e giovani sarebbe perfetta.
“È una riflessione ad alta voce eseguita sul sagrato di una Chiesa. S. Agostino parla della preghiera come una musica che sale al cielo, e io scelgo «Sangue impazzito» tra le 340 canzoni che ho scritto come la mia preghiera preferita”.
Ha fatto tanta gavetta e dopo la malattia si è reinventato anche professionalmente. Quale consiglio vorrebbe dare ai giovani di questa cultura del “tutto e subito”?
“Ciò che otteniamo in fretta, rischia di sparire con altrettanta velocità. Meglio costruire qualcosa di solido”.
Paolo Guiducci