Speranza. È il tema che ha fatto da filo conduttore a un fine settimana molto speciale, in compagnia della ricercatrice e formatrice Antonia Chiara Scardicchio dell’Università degli Studi di Foggia. Nei locali della parrocchia “Nostra Signora di Fatima” di Rivabella ha presentato, in un incontro promosso dall’Ac parrocchiale e dalla Fondazione San Giuseppe, il libro Madri… voglio vederti danzare. Un volumetto prezioso, edito da Agenzia NFC e curato da Antonella Chiadini, che racconta del rapporto con la sua bimba Serena, affetta da autismo, ma non solo. Una storia di resurrezione e di grazia che vuole trasmettere a tutti un messaggio positivo di speranza. Titolo dell’incontro, introdotto dal parroco don Giuseppe Giovannelli, e dal vicepresidente della Fondazione San Giuseppe, Paolo Mancuso: “A scuola di speranza. Da Jovanotti a don Tonino Bello, una storia di resurrezione”.
Chiara, qual è il cuore di quest’opera?
“Il messaggio del libro non riguarda soltanto la disabilità di mia figlia Serena ma la sofferenza che, tutti, seppur in forme diverse, attraversiamo nella nostra storia. Ed è il racconto di questo dolore che è solo la penultima notizia, perché la croce, come amava ripetere don Tonino Bello, è collocazione provvisoria. Questo non significa negare il peso, la fatica, la tragedia. Significa non riconoscergli eternità. Ed è allora, quando il dolore smette di farci credere che è senza scampo, che la vita ci stupisce. Madri, per esempio, è nato in maniera del tutto inaspettata, in risposta ad una situazione dolorosa. Il testo che è il cuore del libro lo avevo scritto solo per me ed era nel mio cassetto, a segnare un momento di passaggio nella mia storia. Finché Antonella Chiadini mi ha dato l’occasione di trasformarlo in condivisione, grazie alle Edizioni NFC e alla Fondazione San Giuseppe per l’Aiuto Materno e Infantile.
Madri raccoglie anche diversi preziosi contributi: le interviste di Mariangela Taccogna e Alessandra Erriquez, le fotografie di Giovanni Ventura, le illustrazioni di Patrizia Casadei, le opere della scultrice Angela Micheli. È dunque un coro, una comunità di voci che racconta che, sì, si può morire anche mentre siamo in vita. Ma le croci al terzo giorno si possono spiantare”.
Tra le madri di cui racconta il libro non poteva certo mancare la figura di Maria di Nazareth. Come trasformarsi da madri addolorate a madri danzanti sull’esempio di Maria?
“Noi impariamo speranza e disperazione soprattutto per contagio. Io ho incontrato molte lamentose nella mia vita. Maledicenti, sempre in credito verso la vita, infelici per statuto. E poi ho ricevuto il dono di incontrare altre madri, rivoluzioni e rivoluzionarie. Madri che conoscono il dolore in mille forme e che avrebbero tutto il diritto di lamentarsi, di pretendere i primi posti nelle fila delle addolorate. Eppure madri, coraggiose e fiere, che non hanno mai bestemmiato la vita. È così che io penso a Maria di Nazareth: l’immagine di Lei sotto la croce è soltanto un fotogramma. È la storia di un dolore durato tre giorni. Tutto il resto del tempo, da allora, è danza. Perché Maria è l’unica madre mai esistita ad aver visto il proprio figlio risorgere. E proprio perché ha conosciuto il più atroce dei dolori, la morte di un figlio, la sua felicità è ancora più possente. Ebbra di lode, sta danzando. Anche per noi che siamo sotto la croce adesso. Lo scopo di questo libretto è quello allora di raccontare, sull’esempio di Maria, un modo diverso di essere madri, non solo di figli disabili. Smettendo di guardare solo a ciò che manca e assumendo invece uno sguardo benedicente, si scopre che la fertilità coincide con la gratitudine. Anche verso quel che non possiamo capire. Non è rinuncia alla razionalità, ma una sua forma diversa: la ragione impara a contemplare. E, tacendo, a danzare”.
Chi sono i “maestri” di speranza?
“Ognuno di noi ha incontrato nella vita maestri di speranza, capaci di insegnarci e mostrarci la bellezza, persone che, come nel gioco che si faceva da bambini, quando restavamo immobili finché qualcuno non ci toccava, sono in grado di rimetterci in moto.
Ne cito qui alcuni, a partire da Don Tonino Bello che ebbe un’intuizione speciale: affiancare alla via Crucis anche una via Lucis. Il nostro Dio è risorto, perché dedichiamo più tempo a piangere la sua morte? Forse perché siamo più bravi nei canti funebri che in quelli di lode, più attenti ai misteri dolorosi che a quelli gloriosi. Ed ecco perché considero Jovanotti maestro di speranza: le sue canzoni sono forme moderne di salmo e di gloria. Jovanotti è il salmista della gratitudine, capace di cantare sofferenza e candore. Infine, e potrà sembrare un paradosso, anche mia figlia Serena con la sua disabilità è per me una grande testimone di speranza. Molti definiscono l’autismo un guscio che isola questi bambini dal mondo: in realtà l’autismo di Serena è stato proprio la spinta che ha fatto uscire me dal mio di guscio. All’inizio l’autismo è stato uno schiaffo in faccia, ha dissolto ogni mia certezza e distrutto ogni mia presunzione di avere le risposte. Oggi guardo a Serena come a un’opera d’arte perché è una bambina felice: sembra, ai nostri occhi, non avere nulla… eppure è grata. Felice di essere viva. Quanti di noi, quelli sani e normali, possono dire lo stesso? Da lei ho imparato a benedire. Nel mezzo della furia di tante voci maledicenti, i maestri di speranza sono coloro che hanno il coraggio del controcanto”.
Silvia Sanchini