“Oggi abbiamo sperimentato che cos’è la carezza della misericordia di Gesù. Il modo in cui il Papa ci ha abbracciati lo porteremo per sempre nei nostri occhi”. In queste parole pronunciate da don Julian Carrón al termine dell’udienza concessa da Papa Francesco nel decimo anniversario della morte di don Giussani e nel sessantesimo dell’inizio del movimento di CL, è descritta tutta l’intensità dell’incontro col Santo Padre al quale, tra gli oltre 80.000 partecipanti provenienti da 47 Paesi del mondo, erano presenti ben 1.700 riminesi, accompagnati dal Vescovo di Rimini mons. Francesco Lambiasi. In cammino “come mendicanti, col desiderio di imparare”, come ha espresso lo stesso Carrón rivolgendosi al Papa, che a sua volta lo ha ringraziato in modo particolare per la lettera con cui il Presidente della Fraternità di CL aveva invitato tutti all’Udienza (cfr. il Ponte del 1 marzo 2015, p. 17).
Ogni gesto della giornata è stato denso di questa mendicanza, nel desiderio di rinnovare “sempre il «primo amore»”, e, oltre ogni aspettativa, siamo stati sorpresi dalla paternità con cui Francesco ci ha accompagnato in questo momento cruciale della nostra storia, testimoniandoci un’intima conoscenza di don Giussani, unita alla sua gratitudine personale per “il bene che quest’uomo ha fatto a me e alla mia vita sacerdotale, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli”, e per “il suo pensiero profondamente umano” che “giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo”. Soprattutto il Papa ha indicato la strada per un passo decisivo nell’immedesimazione con l’esperienza di don Giussani: “dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo!”.
In questa affermazione centrale del discorso di Francesco sono riecheggiate le parole che san Giovanni Paolo II scrisse allo stesso don Giussani: “il movimento ha voluto e vuole indicare non una strada, ma la strada […] La strada, quante volte Ella lo ha affermato, è Cristo”.
L’esperienza di Comunione e Liberazione non è riducibile infatti ad una corrente teologica, ad una linea di pensiero o ad una impostazione pastorale, tantomeno ad una “spiritualità di etichetta”: se così accadesse diventeremmo “schiavi dell’autoreferenzialità”, «pietrificando» il carisma in “un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta”, prigionieri delle nostre interpretazioni. Invece “don Giussani – ha sottolineato con forza Papa Francesco – ha educato alla libertà” e “non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi!”.
Cosa può impedirci di soccombere a qualsiasi tentativo di «autoreferenzialità», permettendoci di tenere “vivo il fuoco della memoria del primo incontro”?
La contemporaneità dello sguardo di Cristo, che sabato scorso ha coinciso con l’abbraccio e con il volto di Papa Francesco e ci ha sorpreso, oggi, come accadde a Matteo duemila anni fa. Solo la scoperta commossa di questo avvenimento che accade ora, ci rende consapevoli del bisogno di “imparare da tutti, con umiltà sincera” per essere “braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa «in uscita»”.
L’esperienza generata da don Giussani è viva non in forza di una interpretazione o di una impeccabilità, ma per la “carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato” che mi abbraccia ora. L’incontro che ha cambiato la mia vita, dandomi un volto e un nome, è un fatto presente, legato alla carnalità della guida di don Carrón e garantito nella sua autenticità dalla “adesione incondizionata al Papa”.
don Roberto Battaglia
Assistente della Fraternità di Comunione e Liberazione