Difficilmente si sarebbe potuto immaginare che l’inchiesta sulle intricate vicende di Aeradria sarebbe arrivata fino a questo punto.
“Associazione a delinquere”: scuote e suscita più interrogativi l’ultimo reato ipotizzato per 9 “big” riminesi tra ex vertici della società che ha gestito il “Fellini” fino al fallimento del novembre 2013, e amministratori degli enti pubblici soci, ossia l’ex presidente di Aeradria, Massimo Masini, il suo vice Massimo Vannucci (che era anche presidente della società collegata Rdr), Alessandro Giorgetti, presidente dell’altra collegata Air, il sindaco attuale di Rimini, Andrea Gnassi, il suo predecessore Alberto Ravaioli, l’ex presidente della Provincia Stefano Vitali, il suo predecessore Nando Fabbri, l’ex presidente della Camera di commercio di Rimini Manlio Maggioli e il presidente di Rimini Fiera Lorenzo Cagnoni.
È solo la punta di un iceberg che vede indagate un totale di 34 persone. I reati sono diversi, si va dal falso in bilancio al ricorso fraudolento al credito (solo per citarne alcuni) ma è stato proprio quello di associazione per delinquere ad aver più sconvolto il territorio. La Procura della Repubblica di Rimini si è presa altri sei mesi di tempo per stigmatizzare le varie responsabilità e giungere alle diverse contestazioni di reato. Nel frattempo però sono molti gli interrogativi.
Sono stati commessi pesanti errori, questo è chiaro. Lo dimostra il buco superiore ai 50 milioni di euro che ha portato al fallimento di Aeradria. La responsabilità va a chi ha amministrato la società ma anche a chi, guardando gli sviluppi della vicenda, non ha sufficientemente controllato. Dove erano i rappresentanti di Provincia e Comuni (Rimini in testa) quando si stilavano i bilanci? Eppure per sostenere la società Provincia e Comuni sono stati chiamati a diversi aumenti di capitale. Com’è possibile che i soci di maggioranza si siano resi conto del buco enorme della società solo a fallimento avvenuto?
Tuttavia, un conto è dire che sono stati commessi gravissimi errori – e su questo sta traendo le sue conclusioni la magistratura – e un conto è parlare di un’associazione per delinquere per truffa di erogazioni pubbliche. Dalle 150 pagine dell’ordinanza del gip del tribunale di Rimini, Fiorella Casadei, emerge uno scenario gravissimo: secondo l’interpretazione dei magistrati, tra i nove indagati c’era un accordo che consisteva nel dissimulare i contributi pubblici illegittimamente destinati alle compagnie aeree e falsificare la contabilità dei bilanci di Aeradria e delle due società collegate. Un sistema che avrebbe attinto a denaro pubblico per tenere in vita una società al collasso al solo scopo di non perdere consenso politico e prestigio personale. È qui che alcuni dei nove indagati, da Gnassi a Vitali, da Ravaioli a Fabbri, hanno rimarcato l’aspetto a dir loro paradossale: perché parlare di associazione criminale se il solo scopo era quello di avvantaggiare una infrastruttura stretegica come l’aeroporto e il territorio?
E qui arriviamo al grande dilemma che non si pongono solo i diretti interessati dai guai di Aeradria: può essere considerata una colpa destinare soldi pubblici all’aeroporto per beneficiare tutto l’indotto economico ad esso collegato (che ricordiamo era stato stimato in quasi 900 milioni di euro)?
Il procuratore capo della Repubblica, Paolo Giovagnoli, ha sottolineato che “associazione a delinquere” non significa inevitabilmente “di stampo mafioso”. Resta il fatto che si sta ipotizzando un’associazione di tipo criminale: perché? “Un’associazione è a delinquere – è la precisazione di Giovagnoli – nella misura in cui più persone attraverso un accordo hanno commesso una serie di reati protratti nel tempo”.
Quali sono questi reati? Addentriamoci un po’ più in alcuni nodi della complessa vicenda Aeradria.
Il primo è legato ai contributi pubblici e alla società controllata Rdr.
Dall’ordinanza emessa dal gip Casadei emerge che già nel 2001 Aeradria era stata ammonita dalla Corte dei Conti a cessare con le erogazioni pubbliche in quanto violavano le normative europee sulla libera concorrenza. I finanziamenti pubblici però continuarono. Al 2005 risale la nascita di Rdr, Riviera di Rimini Promotion, la società pubblico-privata (frutto in particolare della collaborazione degli organi pubblici con la classe turistico-alberghiera) che secondo l’accusa sarebbe stata creata ad hoc per dissimulare il divieto dei contributi pubblici ad Aeradria. RdR acquistava dalle compagnie aeree i biglietti per garantire i voli. Come afferma nel suo interrogatorio Eliana Baldelli, allora presidente di RdR, con questo sistema “gli operatori turistici vedevano incrementati gli arrivi dei turisti senza assumersi nessun rischio attendendosi che fossero i politici a farsi carico in qualsivoglia maniera di tali incentivi che non coinvolgessero in maniera diretta Aeradria”.
L’altro aspetto oscuro della vicenda riguarda i conti che sarebbero stati fortemente manipolati. Si legge sempre nell’ordinanza che il fallimento andava richiesto già nel 2006, “ma ciascuno degli indagati ha finito per aggravare quel dissesto societario, proprio per essersi astenuto a richiedere quel fallimento fino al 2013”. Tra il 2008 e il 2013 i bilanci sarebbero stati altamente alterati. Nel 2008, ad esempio, il patrimonio netto prospettato da Aeradria fu di quasi 8 milioni di euro a fronte di un patrimonio effettivo di 4 milioni e 450mila euro. E nel 2013, a fronte di un passivo annunciato di 17 milioni, quello reale (si scoprì dopo) era di oltre 23 milioni.
Sono state dunque aggirate regole per tenere in vita l’aeroporto. Ma Rimini non sarebbe stato il primo e neanche l’ultimo scalo a ricorrere ai contributi pubblici per aggiudicarsi le compagnie aeree e quindi, perlomeno, sopravvivere. Lo afferma anche Lucio Laureti, ex presidente dell’aeroporto di Pescara e oggi vicepresidente di AiRiminum, il nuovo gestore del “Fellini”. “Quasi tutti i piccoli aeroporti, quelli sotto il milione di passeggeri e a maggioranza pubblica – spiega al Carlino – hanno sempre stanziato soldi alle compagnie aeree sia come contributi che come azioni di promozione e marketing”. Laureti aggiunge anche che secondo le nuove normative europee, “gli enti pubblici, siano essi soci di uno scalo o semplicemente promotori, possono investire risorse con azioni promozionali verso le compagnie, per favorire così l’economia del territorio”.
Anche nel periodo in cui lo scalo di Rimini è stato gestito dal curatore fallimentare Renato Santini le compagnie ricevevano contributi. “Senza soldi ai tour operator Rimini avrebbe perso tutti i voli” afferma Santini.
Alessandra Leardini