Il nuovo film di Roy Andersson, vincitore del Leone d’Oro alla Mostra di Venezia 2014 è destinato inevitabilmente a spaccare in due la platea cinematografica: da una parte chi, in particolare coloro che hanno apprezzato il precedente You the living (uscito sette anni fa) e sono già stati catturati dai toni grotteschi e fantasiosi del regista svedese, si troverà a suo agio anche in questa formula di veri e propri “quadri viventi”, finestre sul mondo animate da personaggi tanto bizzarri quanto autentici; dall’altra chi invece non apprezza lo stile surreale e la fissità della macchina da presa.
Penetrando nei 39 tableaux di Andersson si riscontra uno sguardo originale e curioso sull’esistenza, attraverso persone comuni che propongono apparentemente algidi sguardi su morte, vita, amore e denaro. Il quotidiano “esplode” in questi folgoranti “mini film”, tra morti improvvise, sogni romantici infranti, paradossali e tragicomici tentativi di vendere scherzi di carnevale fuori moda, attese per appuntamenti mancati e le implacabili presenze della violenza e del cinismo che mostrano tutta la brutalità del genere umano, in grado di sterminare intere razze (il fantasioso episodio “L’organo”) o restare impassibili di fronte alle grida strazianti di una scimmietta cavia di laboratorio (“Homo sapiens”). Resta spazio per affetti e sentimenti, ma bisogna viverli in totale discrezione sulla spiaggia, in esilio” dal mondo che continua a rivelarsi beffardo e crudele e a generare profonde ed amare solitudini, mentre fa capolino il ricordo del passato e di un tempo forse più felice. Ma descrivere questo film è fare un torto alla complessità e alla genialità dell’opera. E il piccione? Sta su un ramo, è impagliato e di tempo per riflettere sull’esistenza ne ha davvero parecchio.
Il Cinecittà si Paolo Pagliarani