È una delle eccellenze della sanità riminese. Da anni si afferma come punto di riferimento in Emilia Romagna, ma anche nel resto d’Italia. Parliamo del servizio di Oncoematologia Pediatrica che si trova all’interno del reparto di Pediatria gestito dalla dottoressa Gina Ancora. Un servizio che, purtroppo, in questi ultimi anni ha visto un crescente numero di casi trattati.
Day hospital. Sei posti letto, parte di personale dedicato, Oncoematologia pediatrica, il prossimo 3 marzo, vedrà anche l’apertura di un day hospital esclusivamente dedicato all’oncologia, dove sarà possibile trattare giornalmente la cura dei piccoli pazienti. Parliamo di questa realtà con la esponsabile del servizio, la dottoressa Roberta Pericoli.
Il numero dei piccoli pazienti oncologici è aumentato negli anni?
“In generale il numero di casi è sempre identico. L’incidenza dei tumori è di 174 nuovi casi per milione di bambini, ed è così da molti anni. Quello che si è modificato è il carico su Rimini, perché il nostro centro è diventato punto di riferimento nell’azienda Romagna. Siamo passati da 17 casi del 2013 a 30 nuovi casi nel 2014. Un numero elevato, anche perché il bambino oncologico resta in carico assistenziale per anni; nell’arco di dodici mesi ci troviamo a curare anche 70, 80 bambini. Arrivano un po’ da tutta la regione, soprattutto, però, da Forlì, Ravenna e Cesena. E ora iniziano a giungere anche gli adolescenti: si è notato, infatti, che se il ragazzino che ha dai 14 ai 18 anni viene trattato in Pediatria, le probabilità di guarigione sono estremamente più alte”.
Quali sono i tempi e le probabilità di guarigione?
“Naturalmente dipende dal tipo di tumore. Nei bambini c’è un maggior rischio che la malattia ritorni fuori. In generale il piccolo paziente guarisce nel 75-80% dei casi. La guarigione si considera tale per le leucemie, per esempio, dopo 5 anni, per certi linfomi dopo 2 anni, per altri dieci”.
Quali sono le maggiori differenze tra un paziente pediatrico e un adulto?
“Innanzitutto la prognosi: il paziente pediatrico ha molte più possibilità di guarire. Inoltre è completamente diversa la causa, perché mentre nell’adulto spesso sono fattori ambientali a scatenare la malattia, nei bambini molto spesso è la genetica, ossia le caratteristiche individuali. È diversa anche la gestione: il bambino fa una terapia più intensiva per periodi un po’ più lunghi”.
Il medico come vive il confronto con un bambino malato?
“Questa è una domanda molto difficile. Innanzitutto bisogna metterci tanto cuore e avere la consapevolezza che si prende in carico non solo il bambino, ma tutta la famiglia. Nel momento in cui i piccoli pazienti hanno uno spazio ambientale favorevole, hanno vicino i genitori, hanno lo spazio per il gioco e sono trattati con amore, trovano una serenità che gli permette di mandare avanti la cura con una grande energia. E poi quell’energia la trasmettono a noi”.
Qual è stata l’evoluzione che ha portato Rimini ad essere così importante in questo ambito?
“Credo il grande impegno che tutte le componenti hanno messo e stanno continuando a metterci: a partire dal professor Vico Vecchi che ha voluto e fondato questo centro diversi anni fa, alla dottoressa Ancora che porta avanti il suo lavoro, continuando con le associazioni che ci supportato per arrivare all’Azienda che ci ha investito molte risorse”.
Rimini come partecipa alla ricerca?
“Diciamo che il territorio ha risposto molto bene. Per fare un esempio, poco tempo fa una signora ci ha lasciato una donazione molto cospicua. Ma la ricerca non la fanno le singole istituzioni. È fatta a livello europeo e mondiale: il che vuol dire che tutti i bambini fanno la stessa terapia in tutta Europa, poi tutti i risultati dei farmaci sperimentali vengono messi insieme. Rimini è partecipe di questo meccanismo. In particolare il nostro è uno dei 52 centri dell’Associazione Italiana per l’Oncologia Pediatrica (AIOP), che raccoglie tutti i dati. In questo modo si riesce a fare ricerca su larga scala, anche perché i numeri sono piccoli: non si potrebbe fare ricerca solo su trenta casi, tra l’altro di tumori diversi”.
Al di là della cura, dei protocolli e dei medicinali, ci sono dei progetti di supporto?
“Ci sono i clown, le maestre che vengono a fare la scuola in ospedale, i nati per legger che leggono i libri in reparto. E poi c’è l’AROP, l’Associazione Riminese Oncoematologia Pediatrica che ci da una mano. Una volta è stato possibile persino portarli al cinema, grazie alla generosità di chi ci ha ospitato, e questo spero che si possa fare ancora. Sono cose che sembrano piccole, ma per loro che sono confinati in una realtà chiusa, sono molto importanti. Tutto questo naturalmente dipende dalla generosità delle persone. Ora mi piacerebbe portarli a mangiare una pizza. Anzi, stiamo cercando qualcuno che ci ospiti”.
Elia Pasolini