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Programmati… per rompersi

Tutto ha una data di scadenza, non solo i prodotti alimentari: dalla lavatrice alla stampante, dallo spazzolino elettrico al frigorifero passando per tv, cellulari e via dicendo. Solo che se sulla confezione di merendine va scritta per legge ed è a tutela del consumatore, per gli altri beni di consumo, almeno secondo alcuni, si tratta di uno stratagemma utile solo a chi li produce. Si parla, in termine tecnico, di “obsolescenza programmata”. Come spiega l’economista e filosofo francese Serge Latouche, “fin dall’inizio il prodotto è concepito dal produttore per avere una durata limitata”.
E, se da un lato, la pistola fumante non è mai (o quasi) stata trovata, dall’altro, ognuno di noi ha probabilmente avuto oggetti che trascorso il biennio di garanzia hanno vissuto una sorta di crisi del terzo anno, magari proprio in prossimità dell’uscita di nuovi modelli.
Qualche sospetto può sorgere….
Viviamo in una società della crescita – teorizza Latouche – la cui logica non è crescere per soddisfare i propri bisogni. Ma crescere per crescere. All’infinito”.
Nella società del consumo gli oggetti non si aggiustano. È ormai più conveniente comprarli nuovi. Per farsi un’idea, sembra che un’auto assemblata con pezzi di ricambio possa costare 20 volte in più. Decisamente sconveniente portarla spesso da meccanico o carrozziere.

Fatti per rompersi, ma per quale motivo? Nel 1929 (l’anno della grande crisi) Brendon London, negli Stati Uniti, arrivò a proporre di rendere obbligatoria per legge l’obsolescenza per sostenere la ripresa economica. “Siccome in questo tipo di economia la produzione deve continuare a crescere – spiega Maurizio Pallante fondatore del Movimento per la Decrescita Felice – bisogna fare in maniera che le persone sostituiscano sempre più in fretta le cose che hanno. Inevitabilmente quindi, i prodotti sono fatti per durare di meno e sono costruiti in modo da essere difficilmente riparabili. Inoltre, sempre più spesso, questi beni sono realizzati anche per rendere più difficile, al termine della loro vita, la separazione dei materiali di cui sono composti. Altrimenti, diventerebbe semplice recuperare i materiali per produrre nuovi oggetti”.
L’usa e getta compulsivo ha quindi un impatto notevole anche in termini ambientali: più rifiuti, in particolare di apparecchiature elettriche, il cui smaltimento è più costoso per la collettività.

L’obsolescenza percepita. Ma l’obsolescenza programmata non sarebbe l’unico pericolo. “C’è anche l’obsolescenza percepita – prosegue Pallante –: i produttori mantengono viva la domanda convincendo i consumatori che un prodotto nuovo è migliore del precedente, anche se non presenta modifiche sostanziali. In questo scenario, un ruolo fondamentale lo gioca la pubblicità: basta solo la dicitura «nuova formula» oppure «nuova ricetta» per spingerci verso un certo acquisto. È una sorta di condizionamento di massa”.

Solo una “teoria del complotto”. Non tutti la pensano così. Secondo l’ingegner Andrea Bondi, manager dell’area energia della società TrentoRISE, la chiave del problema sarebbe legata alla tecnologia. “Ogni 18 mesi – dice in un’intervista ad un noto quotidiano nazionale – la complessità dei circuiti raddoppia e l’architettura hardware dei nuovi processori si riduce di dimensioni (siamo ormai nell’ordine dei millesimi di millimetro). La tecnologia attuale supporta un certo numero di passaggi di corrente nei circuiti che col tempo diventano soggetti a guasti”. Sarebbe molto difficile oggi trovare equilibrio tra potenza ed estetica da un lato e affidabilità e durata dall’altro. “Se usassimo le valvole di un tempo – conclude Bondi – ci vorrebbe un intero quartiere per fare quello che consente uno smartphone”.

Nascono i repair cafè. Intanto, viste anche le difficoltà economiche del momento, c’è chi cerca di correre ai ripari nel vero senso della parola. In Europa, infatti, sono sorti numerosi repair cafè dove alcuni esperti si mettono a disposizione dei cittadini per fornire aiuto nell’aggiustare prodotti rotti o fuori uso. In Italia questi locali non sono ancora approdati ma esiste un’alternativa online: il sito ifixit.it con varie guide “passo a passo” per chi vuole provare ad improvvisarsi “riparatore”.

Andrea Polazzi