Il Drago di Belverde a Rimini(editore Bookstones), di Oreste Delucca. Prendendo tra le mani questo libretto di poco meno di 100 pagine, con un drago verde in copertina, si ha l’impressione di doversi catapultare nelle avventure di una principessa chiusa nella torre di un castello. I draghi hanno popolato e alimentato, da sempre infatti, le fantasie di bambini e bambine di ogni tempo. Ma questo libretto non è semplicemente una favola, ma una storia “fondata” sui documenti, e sulle ossa, che parlano della presenza di un drago anche a Rimini. Vediamo cosa scrive in merito lo storico riminese Oreste Delucca.
Intorno all’anno Mille, quando la popolazione riminese era ancora scarsa e le esigenze alimentari piuttosto ridotte, l’agricoltura occupava spazi limitati, mentre persistevano ampie superfici riservate al bosco.
In particolare, il territorio compreso fra la collina di San Martino Monte l’Abate e il corso del torrente Ausa, era coperto da fitte boscaglie chiamate “le selve di Belverde”; e al loro interno si trovava una celletta, intitolata per l’appunto a “S. Maria Belverde”. Ora avvenne che un bel giorno (anzi, un brutto giorno) in quelle selve comparve un drago, destinato a terrorizzare gli abitanti e i forestieri di passaggio, tanto che – a detta delle cronache – più nessuno osava frequentare il luogo. Dunque, anche Rimini ha avuto il suo drago, in un periodo storico nel quale simili presenze di esseri mostruosi erano piuttosto consuete. Queste pagine si propongono di passare in scrupolosa rassegna i documenti che recano testimonianze sul “drago di Belverde”.
Un po’ di storia
L’esistenza del drago di Belverde ci è nota principalmente per l’attenzione che gli ha riservato lo storico Cesare Clementini nell’opera dedicata al Raccolto istorico della fondatione di Rimino e dell’origine e vite de’ Malatesti, e più precisamente nel primo volume, uscito l’anno 1617. L’autore narra che nel 1333 l’esercito malatestiano, in procinto di riconquistare la città, temporaneamente occupata dal Legato Pontificio, si era accampato a Belverde. I soldati della compagine malatestiana, dopo essersi fatti vedere minacciosamente alle porte della città alloggiarono a Santa Maria Belverde dove videro un “drago o serpente”. […] Nel racconto di Clementini ricorrono tutti gli ingredienti delle narrazioni che abbiamo visto in riferimento ai draghi: un luogo selvaggio e boscoso; la comparsa dell’animale mostruoso che divora molte persone e rende impraticabile il luogo; gli inutili tentativi degli abitanti di uccidere il drago e bonificare il sito; il ricorso alla Madonna, che non agisce direttamente ma suggerisce la soluzione; i contadini che mettono in pratica, riescono ad uccidere l’animale e a risanare l’ambiente; la riconoscenza della popolazione che costruisce una chiesetta al posto della precedente cella, dotandola di molti beni; l’esibizione delle ossa come trofeo.
Il sito
Belverde è un lembo del territorio riminese appartenente alla cappella (così era chiamata nel Medioevo la circoscrizione di una parrocchia) di San Martino Monte l’Abate. È ubicato a sud della città, fra la collina di San Martino e il corso dell’Ausa; a monte è delimitato dalla strada che porta a Montescudo. Essendo un territorio di confine, capita qualche rara volta di vederlo assegnato alla cappella contigua di Santa Maria in Cereto. Anche il suo nome subisce talora qualche variazione, sicché Belverde può diventare Valverde o magari Belvedere. Tuttavia gli elementi topografici a corredo, nonché i dettagli onomastici che l’accompagnano, permettono sempre di identificarlo senza ombra di dubbio. Nella documentazione riminese compare inizialmente l’anno 1333. A sostegno di quanto narrato dal Clementini, lo citano le “Cronache” locali descrivendo i movimenti delle truppe malatestiane intente alla riconquista della città. Fra i capitani dell’esercito signorile, Umberto da Pietramala sopraggiunge con 400 cavalieri e, dopo aver fatto bella vista di sé alle porte di Rimini, si accampa a Santa Maria di Valverde, restandovi quattro giorni. Il sito trova ancora menzione il 28 settembre 1386, in occasione di una vertenza riguardante la strada che parte dalla porta cittadina di S.Genesio dirigendosi verso Santo Spirito, la chiesa di Santa Maria di Valverde, il ponte di Leveroni (oggi Ospedaletto) e Montescudo. Anche le fonti archivistiche del Quattrocento e del Cinquecento segnalano a tratti il Fondo Belverde (o Valverde), talora indicato pure come sinonimo del Fondo Praticello. Ciò avviene in occasione di transazioni che fanno sempre riferimento a terre arative, frascate e canetate che spesso confinano con i beni della chiesa di Belverde. Gli elementi forniti dalla documentazione testè menzionata aiutano a collocare cronologicamente l’evento che ci interessa più da vicino, ossia la comparsa e l’uccisione del drago. Il Clementini ne parla prendendo spunto da un fatto bellico del 1333; ma è solo uno spunto, senza alcuna connessione diretta fra le due vicende. Pertanto occorre avvalersi di altri dati. Orbene, noi sappiamo che in quell’anno una porzione dell’esercito malatestiano composta da 400 cavalieri (i quali notoriamente coinvolgevano un numero ancor più alto di fanti e personale di supporto) ha stazionato a Belverde per quattro giorni. Evidentemente il luogo non era più interamente boscoso come al tempo del drago; dovevano esservi spazi scoperti, prati e pascoli destinati al foraggio, capaci di fornire alimento ai cavalli, atti ad allestire un campo, quantunque provvisorio. Inoltre già dai documenti trecenteschi si parla della “chiesa” di Belverde: non più della originaria celletta anteriore al fatto del drago; fatto che quindi risale alla data più antica…
Non aggiungiamo altro, l’interessante studio va avanti in questo libretto ben fatto e documentato: sia nella prima parte, dove si parla della leggenda e di tutti i draghi che hanno attraversato la storia italiana; sia nella seconda parte, dove ci si concentra sui documenti del Drago di Belverde.