Era il 2009 quando il padre missionario Giulio Albanese, direttore di Popoli e missioni, è intervenuto presso la Diocesi di Rimini per parlare della situazione africana. Dopo sei anni è tornato a trovarci portando con sé una sintesi del continente nero che parla di traguardi e nuove criticità.
“L’Africa è la cartina al tornasole delle condizioni del nostro povero mondo, diviso tra inferno e paradiso – ha raccontato Albanese al Ponte –. Il mondo è cambiato e non si può più parlare di Nord e Sud. Tra i cosiddetti paesi BRICS, che si stanno affermando, si è aggiunto il Sud-Africa oltre a Brasile, Russia, India e Cina. Il Pil africano è cresciuto, ma l’esclusione sociale rimane il problema di fondo. In Angola, per citare un caso, lo 0,8% della popolazione detiene oltre il 75% delle ricchezze nazionali. Le politiche sociali rimangono nel cassetto; le economie più forti impongono la sudditanza; le multinazionali sfruttano e consumano terre (land-grabbing); il debito estero pesa come una spada di Damocle e le materie prime vengono privatizzate e svendute, in particolare le fonti energetiche come petrolio ed uranio. Tutto ciò acuisce le divaricazioni tra ricchi e poveri”.
Padre Albanese, come si sta comportando l’Europa nei confronto dell’Africa?
“L’Europa gioca il ruolo della bella addormentata. Porta avanti politiche contradditorie e non unitarie, mentre Regno Unito e Francia fanno i propri interessi coloniali. Intanto gli Stati Uniti continuano ad affermare la loro leadership, anche se la nazione con la maggiore egemonia sul continente è la Cina”.
Quali conflitti infiammano l’Africa?
“I focolai di guerra sono diminuiti rispetto agli Anni 90, ma ancora presenti in Somalia, Darfur, Repubblica Centrafricana e nord-est nigeriano con Boko Haram. La maggior parte degli scontri è legata al controllo delle fonti energetiche. Come diceva l’economista Frederic Bastiat: dove non passano le merci passano gli eserciti”.
Quale minaccia rappresenta Boko Haram per la gente?
“La situazione è molto diversa da come il nostro giornalismo la presenta. Sembra che vengano uccisi solo cristiani e che le truppe militari rimangano inermi, ma la storia è più complessa. Quando Boko Haram è nata nel 2002 era una confraternita unita dall’odio verso l’Occidente. Un odio comprensibile dato che il colonialismo ha compiuto disastri. È solo dopo la morte del suo fondatore che il movimento si è armato; complice, una regia interna ai palazzi con aiuti che provengono dal versante salafita, sahariano e dall’Arabia Saudita. Non si tratta del classico fenomeno jihadista, la questione non è religiosa: le singole cellule eversive sono manovrate da politici, e la fede viene così strumentalizzata. Le principali vittime dei loro assassini sono musulmani. Nei giorni dopo la strage di Charli Hebdo ne hanno ammazzati duemila, eppure nessuno ne ha parlato! La verità è che se colpiscono le moschee non ricevono attenzione mediatica, per questo puntano alle chiese cristiane, così ottengono i riflettori delle telecamere occidentali. Boko Haram ospita derivazioni islamiche, ma tutto nasce da un conflitto interno alla Nigeria, con le oligarchie del nord che vogliono controllare quelle del sud”.
Una descrizione piuttosto lontana dall’opinione pubblica…
“Purtroppo tendiamo a ridurre tutto in uno scontro tra noi e loro, buoni e cattivi, cristiani e musulmani, americani e russi…. Ma ci sono interessi economici di fondo, burattinai che muovono pedine guardando solo ai propri interessi. Per questo è scorretto parlare di guerra fra religioni”.
Ci parli della povertà.
“La popolazione africana ammonta a 1 miliardo e 300 milioni di persone. Nel 2050, saranno tra i 5 e i 7 miliardi. Nel 2100, venti. Il tasso di crescita africano denunciato delle Nazioni Unite è preoccupante e oggi la popolazione inattiva, che non lavora, supera quella attiva. Considerando che la fascia dei minorenni è quella più cospicua significa che, quando questi raggiungeranno l’età per lavorare, ci troveremo di fronte ad una vera emergenza migratoria. Le migrazioni di massa saranno inevitabili, per il bene placito di chi li vorrebbe respingere. Per educare le persone ad una genitorialità responsabile e a non riprodursi ‘come conigli’ (come direbbe Papa Francesco), bisogna innalzare il loro tenore di vita”.
E come aiutare l’Africa?
“Bisogna investire sulla società civile, guardare alle risorse umane. Mentre noi da casa possiamo farlo attraverso l’informazione, che è la prima forma di solidarietà, e con lo scambio culturale. Le iniziative dovrebbero partire dalle nostre comunità e raggiungere le chiese consorelle africane. Il passato ci ha trovati divisi, pensando al colonialismo. È giunto il tempo di trovarci all’appuntamento del dare e del ricevere, perché abbiamo un destino comune”.
Quindi non basta fare beneficienza?
“No. La ‘carità pelosa’ di chi assume atteggiamenti altezzosi non porta da nessuna parte. Sono molti di più i soldi che i ‘morti di fame’ africani spediscono al Nord del mondo, rispetto a quanti ne ricevono da noi”.
Mirco Paganelli