Lo spunto per parlare di Angelo Mariani mi è stato offerto dalle lettura dell’articolo dal titolo Sant’Agata, Fiera del tartufo apparso su un numero de ilPonte dell’ottobre 2014, nella cronaca della Valmarecchia, nel quale si fa riferimento all’applaudita mostra allestita al Teatro Mariani con oggetto Omaggio a Giuseppe Verdi e Angelo Mariani, quest’ultimo primo direttore d’orchestra di Giuseppe Verdi.
A Mariani, nato a Ravenna nel 1821, è stato intitolato il teatro di Sant’Agata Feltria, un vero gioiello costruito interamente in legno, edificato nel 1605; il più antico nel suo genere, esistente in Italia.
Gli inizi
Figlio di Natale, custode delle carceri e di Maria Grilli, fu avviato agli studi musicali presso l’Accademia filarmonica di Ravenna, dove prese lezioni di teoria e di violino dapprima da Casalmi e successivamente da Nostini. A soli 20 anni è chiamato a dirigere la Società filarmonica di Sant’Agata Feltria, una “banda” che gli impose di sviscerare la sonorità soprattutto dei fiati, suo futuro cavallo di battaglia. Formatosi alla scuola di Rossini, che lo riteneva il suo allievo prediletto, diresse a Bagnacavallo, Faenza, Vicenza, Messina e a Trento, nel giugno 1844, ove fece sfoggio della sua abilità di maestro concertatore con mirabili interpretazioni delle opere Lucrezia Borgia di Donizzetti e Saffo di Giovanni Pacini.
Il matrimonio
Nel frattempo sposò Virginia Fusconi dalla quale ebbe una figlia, morta precocemente. Si trasferì poi a Milano, nel 1846, ove si impose anche grazie all’anima che sapeva mettere nelle musiche verdiane con una trascinante interpretazione popolar politica del Nabucco che causò quasi un tumulto popolare e gli costò una reprimenda della polizia austriaca, fino a rischiare l’arresto “per aver dato – come riportano i biografi – un’espressione troppo evidentemente rivoltosa ed ostile all’imperial governo”.
L’incontro
con Verdi
Risale a quel tempo la conoscenza con Verdi, che tanto influenzò la sua carriera e la sua vita: da una lettera del 19 agosto 1846, di Verdi diretta ad Lanari, si rende noto che il compositore espresse il desiderio di avere il Mariani, quale direttore d’orchestra per la prima di Machbeth a Firenze, fatto che tuttavia non andò in porto. Tra la fine del 1846 ed il 1847 il ravennate alternò la sua attività tra i teatri “Eretenio” di Vicenza, “Carcano” di Milano e “Comunale” di Forlì. Proprio a Vicenza la carrierA del maestro toccò un altro vertice significativo: infatti il 15 settembre 1847 diresse i cori composti dal Pacini per l’Edipo re di Sofocle. Si trattò di una manifestazione grandiosa, con imponenti masse orchestrali e corali (circa 100 esecutori e 200 voci). Questo successo valse ad Angelo il posto di maestro concertatore al teatro di corte di Copenaghen in Danimarca, incarico rinnovato dal sovrano Cristiano VIII che lo prese a ben volere.
Venuto a conoscenza delle sollevazioni popolari in Italia, tornò nel suo Paese e si arruolò volontario nella I Guerra d’Indipendenza del 1848, partecipando alle 5
giornate di Milano.
Tappa
a Costantinopoli
La tappa successiva della carriera del Mariani fu Costantinopoli, dove un teatro d’opera pubblico era stato inaugurato nel 1840. II medesimo, distrutto da un incendio nel 1846, fu subito ricostruito con l’aiuto del sultano Abdul-Mejid, ospitando stabilmente una compagnia italiana diretta dall’impresario Naum. Il nostro amico, giunto dopo un viaggio avventuroso, si fermò a Costantinopoli fino al 5 dicembre 1851, ospite nel palazzo dell’ambasciata russa a Pera, e vi diresse numerose opere anche di notevole impegno, come il debutto di Macbeth e nel novembre 1850 Robert le diable, che fu probabilmente l’ultima opera da lui diretta in quella città. Infatti, si ammalò di tisi e dovette rimanere a riposo fino alla partenza. Compose, in quel periodo anche altri pezzi d’occasione, come le cantate La fidanzata del guerriero, Gli esuli e le Rimembranze del Bosforo per voce e pianoforte; ed un inno nazionale dedicato al sultano Abdul-Medjis, poi stampato a Milano.
Il ritorno
in Italia
Fatto ritorno in Italia, dopo una parentesi a Messina, tra il gennaio e l’aprile 1852, ed una a Napoli, Angelo approdò il 1 maggio a Genova, dove fu chiamato alla direzione stabile dell’orchestra civica del famoso teatro Carlo Felice, direzione che non lasciò mai nonostante le successive offerte di diverse istituzioni. Gli anni genovesi furono occasione di un’intensa frequentazione con Verdi e con la celebre cantante Giuseppina Strepponi, che passarono diversi inverni in quella città e subaffittarono ad Angelo un mezzanino. Come attestato da numerosi carteggi, indubbiamente la figura di Verdi segnò gli ultimi vent’anni della vita del Mariani, dalle lunghe permanenze a Sant’Agata, alle battute di caccia, ai viaggi a Parigi (1867) alle discussioni politiche.
La “direzione”
romagnolaIl maestro diresse poi anche in Romagna, a Rimini, nelle Marche e soprattutto a Bologna. E qui nel 1867 egli compì il suo miracolo per Verdi, che anche per questo, sempre più lo apprezzò. In questione c’era l’opera Don Carlos che era andata male a Parigi e che quindi andava ritentata in Italia. Il compositore ravennate ne rilesse lo spartito e ne curò una nuova messa in scena con puntiglio quasi fanatico, pronunciando la frase “dev’essere una rivincita”, anche per la cantante Teresina Stolz che aveva debuttato con un successo inferiore al previsto. E proprio al Comunale di Bologna ii 26 ottobre arriva il trionfo: Verdi, Mariani, la Stolz sono al settimo cielo. Ma poco dopo, le nuvole, la cantante ruppe il recente fidanzamento con il direttore d’orchestra, avvicinandosi a Verdi. Tuttavia il vero dissenso tra i due musicisti fu provocato da due motivi. Il primo nacque dalla polemica sul direttore d’orchestra: Mariani infatti era un direttore geniale, non v’è dubbio, ma era anche sostanzialmente un virtuoso, il quale non si faceva scrupolo di alterare i segni d’espressione e persino ritmi e note, se giudicava che il mutamento giovasse all’efficacia dell’orchestra. Eloquenti sono le sue stesse lettere: “un vero direttore d’orchestra deve anche dirigere e regolare tutto, allora si avrà unità nell’esecuzione, nel concetto e nella interpretazione”. Anche diversi critici come il Filippi sottolinearono questo suo modo di operare: “è lui solo ad organizzare la musica, dalla genesi delle prime letture al cembalo fino alla perfetta fusione dell’orchestra con le voci e con la scena a cui egli stesse accudisce” (La perseveranza, 4 novembre 1865). Si prese così questa libertà, sia nella Forza del destino sia nel citato Don Carlo, libertà che urtò fortemente Verdi, tanto più forse in quanto le opere erano piaciute al pubblico. Prova ne sono le lettere del compositore di Busseto, nelle quali mostra chiaramente che non approva tale novità: “Io non ammetto – disse – né ai cantanti né ai direttori d’orchestra la facoltà di creare che, come dissi prima, è un principio che conduce all’abisso” (lettera a Ricordi, aprile 1871).
Il secondo motivo di attrito tra i due, fu la cocente delusione provata dal ravennate a causa di Verdi, egli infatti si aspettava che per la commemorazione in morte di Rossini, gli venisse affidata la composizione di un brano della messa funebre, ma Verdi non fu di questo avviso e lo escluse dal progetto artistico: è la fine definitiva di un’amicizia artistica che valse comunque ad entrambi una grande notorietà.
La rivincita
di Wagner<
Dopo la rottura, Mariani, per ripicca si impegnò nel progetto di far conoscere Wagner, allora non molto apprezzato in Italia. L’occasione arrivò nel 1871, l’anno del trasferimento della capitale da Firenze a Roma, il suggello del Risorgimento. In tutt’Italia è un fervore di iniziative, per commemorare l’evento.
Bologna in questo contesto è in primo piano, infatti in città si organizzò un convegno preistorico di risonanza europea. Ma mancava la cornice musical-teatrale. Fu a questo punto che si pensò a Wagner, discusso compositore: perché non farlo diventare bolognese come già fece Verdi quattro anni prima con il Don Carlos?
Venne allora affidata a Mariani la direzione artistica e a novembre il maestro portò al successo il Lohengrin tanto che i critici affermarono “Il merito è dovuto totalmente al direttore”. Anche lo stesso Wagner esaltò il Mariani, tanto che inviò un suo ritratto ad olio con la scritta autografa Evviva Mariani. Il ravennate divenne il profeta della nuova musica e l’antagonista, in Italia, di Verdi che quasi di nascosto, in palchi anonimi, venne a studiarsi il fenomeno. Dopo il Lohengrin, l’anno successivo il Tannhauser, sempre di Wagner, magistralmente guidati dal Mariani che fece registrare il tutto esaurito. Tuttavia Angelo Mariani non trovò accanto a Wagner tutte le soddisfazioni che aveva assaporato accanto al compositore di Busseto anche perché non sempre le composizioni Wagneriane furono capite. Gli ultimi anni del maestro sono tristissimi, malgrado le sue interpretazioni della “musica dell’avvenire”. Colpito da un male incurabile, manifestatosi nel 1868, continuò a dirigere quasi fino alla fine a Bologna, passando poi il tempo residuo a letto. Il Mariani concluse la sua esistenza a Genova, il 13 giugno 1873, assistito negli ultimi istanti della sua vita dall’amico C. Signori. Fu poi traslato nella natia Ravenna, ove oggi riposano le sue ossa.
Enrico Morolli