“Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. […] I cristiani, “chiamati ad avere gli stessi sentimenti di Gesù” (Fil 2,5) [sono] chiamati a scoprire Cristo in loro” (EG, 198).
Il lavoro che stiamo facendo insieme alle realtà coinvolte dal “Progetto culturale” ci provoca a prendere totalmente sul serio l’invito del Papa ad una «conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (EG, 25). Si tratta ultimamente di concepire il lavoro culturale, nella prospettiva dell’azione missionaria ed educativa della Chiesa, non come l’esposizione sistematica di un contenuto dottrinale o ideologico, ma come la scoperta del grido della nostra umanità ferita e bisognosa in ogni sua espressione. Per questo il Papa precisa che «il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza, ma è prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con se stesso» (EG, 199). L’altro ci è necessario!
A tema non è il nostro fare, sempre inadeguato e incapace di rispondere al bisogno umano, ma l’urgenza di «toccare la carne di Cristo»: «una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. […] questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione» (Veglia di Pentecoste, 18.05.13). Ho bisogno dell’altro, che scopro far parte di me, ho bisogno di «toccare la carne di Cristo», nel volto di un giovane incontrato a scuola come nel volto del collega o di un malato, di un amico che ha perso il lavoro o di un povero che chiede, non per dare nella pretesa di rispondere, ma per scoprire l’ampiezza infinita del mio bisogno, di quelle profonde esigenze umane, che sono del povero e quindi di ogni uomo (cfr. EG, 200).
In questa scoperta ci sorprendiamo perciò compagni di cammino di ciascuno dei nostri fratelli uomini, appassionati a quel dialogo con l’uomo del nostro tempo «che non è un accessorio secondario dell’esistenza del credente: ne è invece un’espressione intima e indispensabile» (Lettera a chi non crede, Repubblica del 11.09.13). Il nostro lavoro come centro culturale non può prescindere da questo dialogo, poiché, come disse Benedetto XVI, «nessuno può avere la verità, è la verità che ci possiede» (02.09.12), per cui occorre ripartire dall’incontro con l’altro, nelle «periferie esistenziali», per riconquistare nella nostra esperienza umana quello che crediamo già di sapere, secondo le parole di San Paolo che abbiamo sempre riconosciuto come la più bella definizione di cultura: “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono” (1Ts 5,21).
L’opera del nostro centro culturale si muove nella prospettiva tracciata dall’insistenza del Papa circa il «ritorno all’essenziale, che è il Vangelo di Gesù Cristo», riproposta anche nel suo recente Messaggio al Meeting, assieme all’invito ad «essere disponibili a cercare forme o modi per comunicare con un linguaggio comprensibile la perenne novità del Cristianesimo». Oltre ogni clericalismo e superando la tentazione di «una Chiesa preoccupata di essere il centro» (EG, 49) siamo chiamati a “decentrarci”, lasciandoci provocare dalla realtà «che è più importante dell’idea» (EG, 231). È nel rapporto col reale, infatti, che l’uomo riscopre se stesso, come afferma Francesco richiamando il «programma di vita di don Giussani»: «L’unica condizione per essere sempre e veramente religiosi è vivere sempre intensamente il reale […] senza rinnegare e dimenticare nulla».
Per questo ci domandiamo: cosa si sta generando nella nostra esperienza umana e nelle nostre comunità accogliendo fino in fondo l’invito del Papa? Cosa ci sta accadendo nel lasciarci provocare dalle sfide del nostro tempo (i nuovi diritti, le nuove povertà, la crisi economica, l’emergenza educativa)? Cosa succede quando si esce verso le periferie e si vive la presenza nell’ambiente accompagnando chi ci è accanto? Dove sorprendiamo il riaccadere del cristianesimo «per attrazione»? Queste domande possono costituire una traccia per un reale confronto tra noi nel lavoro del “Progetto culturale” e per l’opera di ciascun centro culturale.
Portico del Vasaio