C’è chi ha il privilegio di fare questo mestiere laddove la storia viene scritta. Andrea Tornielli, vaticanista de la Stampa, da anni segue le mosse della Santa Sede dal suo interno ed ha assistito al succedersi della gestione di più Papi. Lo abbiamo incontrato alla serata “Medio Oriente: vie di pace sulle orme di Francesco”, presso la parrocchia di San Raffaele Arcangelo a Rimini lo scorso 11 novembre. Il suo intervento ha fatto luce sui travagli odierni della sponda est del Mediterraneo: “Non uno scontro di civiltà tra cristiani e musulmani, ma una guerra ad opera di fanatici dove tutti sono vittime”. Certo, tra i fedeli di Cristo il peso dei defunti è maggiore, ma se per il dialogo dobbiamo attendere che la bilancia sia pari non arriveremo mai alla pace. Questo il senso della serata… e del dramma mediorientale.
Andrea Tornielli, perché secondo lei non è in atto uno scontro di civiltà in Medio Oriente tra cristiani e musulmani?
“Perché sarebbe una semplificazione leggerla in quest’ottica: le prime vittime di questa guerra sono i musulmani stessi. Si tratta primariamente di un conflitto interno all’Islam dove l’Isis colpisce anche i capi sciiti e sunniti moderati”.
Come si può porre fine al conflitto?
“La Chiesa deve uscire dall’autoreferenzialità e guardare agli altri, come afferma Papa Francesco. Pace e unione tra le chiese devono correre sullo stesso binario. Tra tutte le persone del mondo c’è un livello di umanità comune in cui ci si trova uomini: un livello di esperienze e di bisogni elementari. È questa dimensione che va ricercata”.
“In Medio Oriente gli amici di ieri sono spesso divenuti i nemici di oggi. In questo ha colpa l’Occidente con le sue scellerate scelte di geopolitica. Sia Hamas che l’Isis sono stati finanziati in modo ambiguo negli anni. Israele ha finanziato Hamas per combattere Arafat. L’Isis è l’ultimo degli amici di ieri finanziato dall’Occidente”.
Tutta questione di soldi, dunque…
“Non dimentichiamo che gli interessi economici che sottendono una guerra vanno ben oltre le motivazioni religiose. Si pensi alla vendita di armi. L’Occidente peggio di così non poteva fare in Medio Oriente, oggi ci troviamo a scontrarci con chi un tempo abbiamo armato”.
Cos’è cambiato dopo l’11 settembre 2001?
“Dopo il crollo delle Torri Gemelle la religione è tornata all’attenzione dei media in maniera dirompente. Giovanni Paolo II ha insistito più volte nel non usare il nome di Dio per commettere violenze, anche se dobbiamo riconoscere dei problemi che riguardano non solo il fondamentalismo, ma l’Islam in generale, considerando i loro testi e le varie interpretazioni date”.
Quali sono i cristiani più colpiti in Medio Oriente?
“Per chi uccide siamo cristiani e basta. Non chiedono in quale chiesa sei stato battezzato. Per questo tutti i cristiani, di fronte ai martiri, devono lasciar perdere certe fissità e sclerotizzazioni. Il Papa dice che ogni volta che chiediamo perdono gli uni agli altri per i peccati commessi, sperimentiamo la resurrezione; così come san Giovanni Paolo II chiese perdono per i peccati commessi dalla Chiesa. Per questo il gesto del Papa con Bartolomeo risponde a questa esigenza di unire i cristiani tutti”.
Parla della visita a Gerusalemme col Patriarca?
“Sì. È stato un incontro ecumenico molto importante che va letto come l’inizio di una nuova strada. Francesco e Bartolomeo si sono mossi da Roma e Costantinopoli per darsi la mano nella Basilica del Santo Sepolcro, il luogo della memoria per tutti i cristiani, ma anche della loro divisione. Il primo a compiere questo gesto storico fu Paolo VI nel 1964, primo Papa ad andare (dopo duemila anni) laddove la religione cristiana è nata. L’unità dei cristiani è un segno importante non solo all’interno del mondo cristiano, ma per la pace nel mondo”.
Rivoluzioni a partire da piccoli gesti. Quali altri imputa a Francesco?
“La sua sottolineatura dell’essere Vescovo di Roma e la venerazione dell’icona mariana, protettrice di Roma, presso Santa Maria Maggiore. Fa capire il suo attaccamento ad una fede semplice, popolare, in mezzo alla gente. Poi la scelta del non abitare nel Palazzo Apostolico, ma a Santa Marta, come dice lui: ’per motivi psichiatrici’. Ha bisogno di stare a contatto con la gente. A Santa Marta ha maggiori occasioni di colloquio, anche informale, con gli ospiti: dalla cappella ai pasti. In più, punta ad una maggiore sinodalità, o collegialità, grazie all’istituzione del consiglio dei Cardinali delle Diocesi di tutto il mondo che lo aiutano a riformare la curia”.
Che rapporto personale ha avuto con i Papi?
“Ho avuto più volte modo di incontrare Giovanni Paolo II e Benedetto XVI durante i vari viaggi. Con Francesco c’era un rapporto più diretto e personale prima dell’elezione. Lui sa andare al cuore delle persone in maniera provocante. È un Papa che sa comunicare bene e non ha bisogno di interpreti. Si vede che ha fatto per vent’anni il Vescovo in strada, come lo si vedeva in Wojtyla. Di Ratzinger, invece, ho sempre ammirato la sua profondità di pensiero negli scritti e le sue risposte a braccio durante le interviste”.
Mirco Paganelli