È uno dei fiori all’occhiello della sanità riminese. Un reparto che nel resto d’Italia ci invidiano. Parliamo della TIN, Terapia Intensiva Neonatale che offre un servizio articolato 24 ore su 24. Qui il neonato e la sua famiglia sono al centro delle cure e a tali valori si ispira l’intera organizzazione delle attività. Il contenimento dello stress, la riduzione del dolore, il contatto con la mamma e il coinvolgimento della famiglia sono gli obiettivi fondamentali, una volta che le sue funzioni vitali sono stabilizzate.
Ma in pratica, come si attua questo programma?
“Con un intervento di tipo neuro-evolutivo, conosciuto come Individualized Developmental Care – ci spiega Natascia Simeone, infermiera certificata Nidcap Professional – è lo strumento più importante per la realizzazione del programma che, grazie al metodo Newborn Individualized Developmental Care Assessment Programme, permette di focalizzare l’attenzione sull’individualità e il rispetto del piccolo prematuro e della sua famiglia; in pratica l’attenzione è rivolta non solo al neonato ma anche a tutto il contesto familiare”.
Come avviene l’interazione con la famiglia?
“L’osservazione del comportamento del neonato, da parte degli operatori, consente di attuare programmi individualizzati di assistenza al prematuro correlati al suo sviluppo e alle sue condizioni cliniche nel rispetto dei suoi bisogni e di quelli della famiglia. L’obiettivo è anche quello di permettere alla famiglia stessa di diventare parte integrante del team che si occupa del bimbo, coinvolgendola, sostenendola e aiutandola a sviluppare quelle competenze e quelle tecniche necessarie all’accudimento del piccolo durante il periodo di ricovero”.
Come avviene l’osservazione?
“Io la faccio assieme ai genitori per fornire uno strumento in più che consenta loro di conoscere meglio il proprio figlio. Si scrive, si prende nota, monitorando e avendo sempre sott’occhio il bimbo e si compila una scheda dove vengono identificati i suoi punti di forza e di vulnerabilità. Quindi si stende una relazione che descrive l’ambiente, la storia clinica, gli obiettivi individuati e le raccomandazioni per l’assistenza che servono a potenziare i punti di forza del bambino e a ridurre i comportamenti di stress”.
Aver adottato e applicato il metodo NIDCAP nel reparto cosa comporta?
“Un cambiamento nel tipo di assistenza che deve essere basata non solo sul curare ma anche sul prendersi cura; si richiede perciò un approccio multidisciplinare che comporta la partecipazione e il coinvolgimento di tutto il personale: medici, infermieri, fisioterapista, psicologa, personale ausiliario e tecnico. Gli operatori devono possedere motivazioni e competenze necessarie per accompagnare il neonato prematuro nel suo percorso evolutivo e sostenere la sua famiglia in questo percorso”.
Com’è l’ambiente del reparto?
“Molto piccolo, vi sono stanze che ospitano anche 3-4 bambini insieme, e questo comporta più genitori contemporaneamente; noi insegniamo loro a parlare piano, a modulare la voce e i suoni. Abbiamo anche piccoli accorgimenti a livello pratico come il copri- incubatrice o il copri lettino perché se si accende la luce in tutta la stanza, dà fastidio a chi dorme”.
È possibile allattare un bimbo così piccolo?
“Non completamente, però lo si può stimolare durante la marsupio-terapia dove c’è un contatto diretto con la madre; il piccolo cerca il seno, ne riconosce l’odore, poi succhia per 2-3 volte ma non di più, non ne ha la forza, per cui occorre guidare le mamme”.
Quanti sono gli operatori del reparto?“Siamo 30 infermieri, 7 medici, una psicologa, i fisioterapisti e il Primario”.
Laura Carboni Prelati