“La guerra è una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai”: la saggezza popolare delle parole del pastore Toni Lunardi sugella (assieme a un bel tema musicale al quale ha collaborato il trombettista Paolo Fresu) gli 85 minuti di torneranno i prati, l’ultimo film di Ermanno Olmi (scritto in minuscolo, ad indicare il quotidiano desiderio di ritrovare la speranza), 83 primavere e una macchina da presa che non si è ancora spenta, nonostante le più paventate decisioni di ritiro. Ma Olmi “doveva” fare un film sulla Grande Guerra, in ricordo del padre soldato e raccontare, in una notte, cosa significa essere combattenti, rinchiusi in claustrofobiche trincee con il cuore che batte a mille perché il silenzio della montagna innevata (riprese ad Asiago) verrà presto rotto dalle deflagrazioni dei cannoni e dalle urla di angoscia dei commilitoni. Poi di nuovo il silenzio, questa volta ancora più agghiacciante perché è il silenzio della morte…
Un racconto composto in pochi, significativi passi: Olmi raggruppa un pugno di uomini sui monti, costruisce il tutto su toni contrastanti tra il bianco della neve, il nero della notte e il grigio-bruno della terra e del fango. La montagna silente osserva la tragedia che si consuma. Poesia, forza d’animo, semplicità per un racconto che si insinua pian piano con forza nell’animo dello spettatore che non può restare insensibile, davanti all’immagine di quell’albero “dorato” che si “incendia” di luce di speranza e poi soccombe nel fuoco bruciante del male creato dall’uomo, fino alle immagini di repertorio nel finale del film per evidenziare che il ricordo della Prima Guerra Mondiale non deve essere solo sterile esercizio di memoria scolastica, ma occasione di profonda riflessione sull’inutilità dei conflitti.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani