Siamo ormai vicini al momento in cui il beato Amato di Saludecio entrerà nell’elenco ufficiale dei santi. È un riconoscimento doveroso, data la sua vita di straordinaria fede e generosità; ma va sottolineato che già da più di sette secoli i compaesani lo considerano un grande santo a tutti gli effetti, e “affidabile”, cioè attento ai problemi dei suoi devoti e del suo paese. Il nuovo “grado” che gli verrà ufficialmente conferito probabilmente contribuirà a diffonderne la conoscenza, ma certo non ne cambierà il carattere di patrono molto particolare di Saludecio, il paese che lo disprezzò in vita ma ne riconobbe la santità esemplare subito dopo la morte e ne difese, conservò e onorò con amorosa cura la memoria e le spoglie, ancora intatte nella chiesa parrocchiale, grazie a lui giuridicamente eretta a santuario dal vescovo Vincenzo Scozzoli il 30 maggio 1930.
Forse ai lettori interesserà sapere che accanto alla bella chiesa parrocchiale e al sepolcro del beato esiste un museo ancora poco conosciuto, intitolato al paese e, appunto, al beato: “Museo di Saludecio e del Beato Amato”. È stato allestito nel 2001 con il contributo della Parrocchia, del Comune, della Pro Loco, della Provincia, della Soprintendenza, e contiene quasi trecento opere, tutte di grande interesse cultuale e culturale, disposte in tre sezioni.
La prima sezione ci permette di gettare uno sguardo sulla cultura religiosa del paese e di tutto il suo territorio durante almeno quattro secoli: tra l’altro vi sono esposte due pale giovanili di Guido Cagnacci da fare invidia a qualunque grande museo, e opere del Centino, di Claudio Ridolfi, di Bernardino e Vitale Guerrini, tutte di grande fascino, accanto a dipinti minori ma incantevoli di altri artisti locali e non. L’immagine prevalente è quella di sant’Antonio Abate, come è normale in un paese che deve il suo benessere alla cultura dei campi; ma accanto alla sua si affacciano quelle dei santi che proteggono dal flagello della peste, cioè san Rocco e san Sebastiano, e poi quelle di sant’Antonio da Padova, di san Giuseppe, di san Giovanni Battista, di san Sisto e di santa Filomena, e persino una (molto rara) di santa Colomba, la “titolare” della cattedrale riminese. Né mancano, naturalmente, le Madonne. Queste opere provengono dagli altari della chiesa medievale demolita alla fine del Settecento per ricostruire la nuova, o dalle chiese del territorio ora non più esistenti, o dagli oratori delle molte confraternite del paese, tutte soppresse in epoca napoleonica. A queste ultime rimandano anche oggetti liturgici più o meno preziosi, come reliquiari, mazze processionali, portaceri abilmente intagliati e dorati. Fra tutti va segnalato un reliquiario a forma di castello, come quelli che nel Cinquecento faceva fare il vescovo di Rimini mons. Giovan Battista Castelli, che insieme ad altre contiene una rara reliquia di san Gaudenzo, cioè un “osso lungo”; tutti sappiamo che il corpo di questo nostro santo è custodito ad Osimo, e che là lo si ritiene integro (pur senza la testa, che è nel duomo di Rimini); dunque varrà la pena indagare sulla sua autenticità.
La seconda sezione del museo è tutta dedicata al beato Amato e alla sua antica confraternita. Non vi sono reliquie del santo, ma oggetti di culto, ex voto, oggetti della confraternita, dipinti di varia grandezza e importanza con scene della sua vita. Fra tutti vanno rilevate le suppellettili liturgiche, opere di orafi romani del Sei e Settecento: calici, ostensori, reliquiari, coperte di messali. Sono oggetti scampati miracolosamente alle requisizioni napoleoniche della fine del Settecento forse perché nascosti accuratamente dai confratelli della compagnia, che tuttavia dovette versare come contributo ben 14 libbre d’argento rinunciando ad una “muta” di candelieri. Ma alcune opere rimandano direttamente alla storia e all’iconografia del beato e al suo sepolcro, come una bella statua di bronzo attribuita ad un artista locale, Sante Braschi, scultore, pittore e incisore, e una lastra di bronzo eseguita da Gian Battista del Moro nel 1726 che rappresenta il sacro corpo disteso nell’urna: chiudeva il vano in cui era riposta la cassa, protetta a sua volta da sportelli lignei del Quattrocento che recano intagliate sedici scene della vita del beato. Sono mal leggibili, perché molto consunte, ma ancora è possibile distinguervi chiaramente le raffigurazioni di qualche miracolo: come quello del mantello appeso a un raggio di sole e quello delle rape maturate miracolosamente per poter sfamare degli inattesi pellegrini; e inoltre qualche scena della sua vita: come l’interrogatorio da parte del podestà, o la visione dell’angelo che lo induce ad interrompere l’ennesimo pellegrinaggio a Compostela. Sulle pareti di questa sala inoltre sono esposti molti deliziosi ex voto dipinti, insieme ad altri sbalzati nell’argento, che costituiscono commoventi testimonianze della fiducia riposta nell’intercessione del beato nelle circostanze più diverse, e in tutti i tempi.
La terza sezione del museo è allestita nella cripta della chiesa, che è un gioiello di architettura e anche di scultura per la presenza di un bel “pannarone” in stucco sorretto da angeli di Antonio Trentanove. Vi sono esposti entro vetrine paramenti preziosi, con bellissimi decori tessuti o ricamati, e alcuni dipinti interessanti, a cominciare da una Madonna con il Bambino di Giuseppe Soleri Brancaleoni (l’autore della miracolosa Madonna riminese di Santa Chiara), che nell’anno della beatificazione di Amato (1776) ha dipinto anche un grande stendardo processionale che lo raffigura in gloria, esposto nella seconda sezione del Museo.
Insomma questo è un museo da visitare, perché pieno di cose belle e di cose significanti, che ci permettono di entrare meglio in sintonia con la figura di questo nostro santo pellegrino, antico, ma con una spiritualità capace di dire ancora molto ai nostri tempi inquieti.
Pier Giorgio Pasini